sabato 16 febbraio 2019

FMGB: Le beatitudini evangeliche nella visione dei Padri della Chiesa

La vita dell’uomo sulla terra è un’ ascesa verso la beatitudine del regno dei cieli. È questa la fede dei primi cristiani. I Padri della Chiesa annunziavano che solo “Dio è veramente beato”, mentre l’uomo è “beato” se diviene “partecipe della essenziale beatitudine di Dio” [1]. La sete di felicità che germoglia nel cuore umano può trovare la sazietà soltanto nella “beatitudine” della vita divina. La storia dell’umanità è un pellegrinaggio verso la felicità eterna. Il Figlio di Dio è disceso sulla terra per innalzare l’uomo fino al cielo.
Gesù conosceva l’aspirazione dell’uomo a vivere una “vita beata”.
Nel messaggio delle beatitudini egli mostrava agli uomini la via della vita per guidarli a vivere il vangelo della gioia. Il “discorso della montagna” spalancava agli occhi dei discepoli il luminoso orizzonte della beatitudine per attirare tutti gli uomini alle altezze della vita paradisiaca. I Padri della Chiesa intravidero nelle beatitudini proclamate da Cristo un “segno” della sua “personalità messianica”. L’altezza della parola di Gesù svelava la sua identità di Figlio di Dio.
“Tutti gli uomini cercano la beatitudine” [2]. Sant’Agostino ripete questo antico ritornello svelando che veramente “beato è chi possiede Dio”, perché solo in Dio la “beatitudine” diviene “felicità senza fine” [3]. La strada delle beatitudini conduce gli uomini dalla terra al cielo saziando la loro sete di felicità. La gioia pregustata nella vita del mondo conoscerà la sua pienezza nell’eternità. Nel gustoso libro apocrifo dell’Apocalisse di Pietro il Figlio di Dio promette che un giorno accoglierà i credenti “nel suo giardino aperto e grande, pieno di splendidi alberi, di frutti benedetti e di profumo di aromi” [4].
Gesù trasfigura il pensiero degli uomini chiamando beati quelli che il mondo considera infelici: i poveri, gli affamati, i perseguitati. La sua parola è un capovolgimento del pensiero del mondo. Il Messia è “l’araldo della buona novella della salvezza donata da Dio … egli la manifesta col suo comportamento verso i piccoli, i poveri, gli ammalati, i diseredati di ogni specie, a cominciare dai peccatori” , esclama il grande studioso delle “beatitudini” Jacques Dupont. [5] E già l’insigne fondatore della “Scuola Biblica” di Gerusalemme Marie-Joseph Lagrange aveva affermato che le Beatitudini sono “il grande colpo d’ala che pone l’insegnamento di Gesù al disopra di ogni felicità puramente umana” [6].
Beati! Makarioi, risuona la parola nel Vangelo. ‘Ashrê: ecco la confidenziale soavità della voce di Gesù nella sua lingua nativa. Il Maestro in quel momento volgeva lo sguardo alla moltitudine degli uomini e delle donne radunate sulla montagna dinanzi allago di Galilea per l’ascolto della Parola di Dio. Nel messaggio delle “beatitudini” egli desiderava effondere sui suoi ascoltatori, e sugli uomini di tutti i tempi, lo spirito dell’ amore e della gioia.
I pellegrini che si affacciano oggi a quella meravigliosa “finestra” sul Mare di Galilea che è la “Montagna delle Beatitudini” vedono dinanzi ai loro occhi le stesse onde accarezzate dal vento eJe stesse colline bruciate dal sole che Gesù contemplava mentre pronunziava le beatificanti benedizioni del Vangelo. Il lago di “Kinneret”, nel quale gli Israeliti vedevano l’immagine di un’arpa e di una cetra, custodisce ancora la risonanza delle parole di Cristo.
I viaggiatori della fede cercano nei luoghi santi d’Israele le orme dei passi del Messia, desiderosi di seguire il cammino del Figlio di Dio sulla terra degli uomini. L’antica appassionata viaggiatrice Eteria partì con questo desiderio per visitare la patria di Gesù milleseicento anni fa e trasmise a noi la mirabile descrizione dei santuari e delle liturgie della Terra Santa.
Oggi i credenti che possono compiere il sacro pellegrinaggio al “Monte delle Beatitudini”, ed anche quelli che rimangono affascinati dai racconti dei fortunati pellegrini, nell’ ascoltare la vibrante parola del Maestro sentono risuonare la voce dolcissima del Padre Celeste, apparso visibilmente agli uomini nel suo figlio Gesù Cristo.
Nel messaggio delle beatitudini sembra straripare dal cuore di Cristo l’infinito amore di Dio per la famiglia umana. È un inno alla vita che risolleva i deboli e gli abbandonati, svelando che Dio è fedele alla sua promessa.
Gli affamati e gli assetati, i poveri e i perseguitati, i sofferenti e tutti i diseredati possederanno “il regno dei cieli”. Gli uomini “miti e mansueti” possederanno anche “la terra”.
Terra e cielo sono “tutto” per chi non ha niente e per chi non conta niente agli occhi del mondo. “Dio è tutto per te”, esclama sant’Agostino: “Dio, se hai fame è pane, se hai sete è acqua per te, se sei nelle tenebre è luce per te” [7]. La promessa si realizza già nella vita terrestre per gli uomini che ispirano la loro esistenza a Cristo, riconoscendo che il Messia ha vissuto per primo le beatitudini che aveva proclamato sul monte. È questa la grande “scoperta” dei Padri della Chiesa. Il Figlio di Dio nella sua umanità ha vissuto lo stile delle beatitudini: “Gesù, tutte le beatitudini che ha annunziato nel Vangelo, le conferma con il suo esempio”, dice il grande teologo Origene [8]. Gesù è veramente “beato” perché è povero, mite, misericordioso, affamato e assetato di giustizia, puro di cuore, costruttore di pace. Gesù è “beato” perché è stato perseguitato per la giustizia fino a morire sulla croce.
Nelle “beatitudini” il Figlio di Dio rivela se stesso. E le beatitudini rivelano il Messia. È Gesù l’uomo nuovo del Vangelo. È lui il modello esemplare della mansuetudine: “imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt Il,29). È Lui che annunzia sulla montagna la “legge nuova” per dare compimento alla legge donata da Dio a Mosè sul monte della prima alleanza. La legge dell’amore inaugura una “vita nuova” e dona agli uomini un “cuore nuovo”. Maria di Nazaret nel canto del Magnificat annunzia che Dio ha deciso di ricominciare dagli ultimi: “Il Signore …
innalza gli umili, sazia di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52-53).
La Chiesa delle origini, nata nella Pentecoste dello Spirito Santo, bramava di estinguere la sua “sete di Dio” alla sorgente delle Beatitudini.
Nella nuova “legge dell’ amore” i cristiani scoprivano un’ orma visibile della presenza del Figlio di Dio sulla terra. Il Messia, camminando per le strade della Palestina insieme ai suoi discepoli, con la soavità della sua voce li aveva infiammati a vivere le beatitudini come le viveva Lui. Gesù, effondendo sull’umanità lo spirito dell’ amore nella sua Pasqua e nella Pentecoste, invitava i credenti a riconoscerlo nel pane dell’Eucaristia per gustare ogni giorno la misteriosa beatitudine della croce e della risurrezione.
Il “gusto” che i cristiani antichi provavano nell’ascolto delle Beatitudini è di grande attualità per la missione dei credenti oggi nella Chiesa e nel mondo, poiché nelle beatitudini è visibile la purissima sorgente della spiritualità cristiana [9]. Nel “discorso della montagna” i primi cristiani riconobbero il più alto progetto della imitazione di Cristo, che aveva rivolto a tutti gli uomini la sua promessa: “Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” [10]. La voce di Dio fin dall’Antico Testamento aveva esortato gli uomini a edificare “la giustizia sulla terra al fine di ritrovarla in cielo” [11]. Il Figlio di Dio nel suo eccelso “discorso della montagna” aveva proclamato “beati gli affamati e assetati della giustizia” (Mt 5,6). I cristiani del tempo dei martiri vivevano con lo sguardo rivolto al cielo assaporando la fame di giustizia insieme alla fame di Cristo: “A me sembra che il Signore – dice Origene – presenti se stesso all’ appetito dei suoi ascoltatori” [12].
Le Beatitudini, svelando !’identità umana e divina del Messia, risuonarono come la profezia di una nuova storia per l’umanità. Gesù di Nazareth, dice J acques Dupont, nel discorso della montagna manifesta la “maniera con cui Dio intende esercitare la sua giustizia regale a favore dei poveri, degli oppressi e di tutti coloro che soffrono” [13] .
La mitologia greca aveva rappresentato la “Giustizia” come una vergine dea che sedeva accanto al trono di suo padre Zeus, giudice delle ingiustizie degli uomini. TI pensiero filosofico e anche politico mantenne alle origini la connotazione divina della giustizia, pur nella visione che diveniva immanente nella coscienza dell’individuo e nella legge della società. La “norma cosmica” di Eraclito divenne in Pindaro “fondamento incrollabile della città” e fu considerata da Platone come “l’armonia dell’anima” e “l’insieme delle virtù”. Lo Stoicismo definì la giustizia la “scienza che attribuisce a ciascuno secondo il merito”. Cicerone chiamò la giustizia “la più eccelsa fra le virtù” [14].
Dinanzi alla definizione classica della giustizia che esortava a “dare ad ognuno il suo”: unicuique suum tribuere, Gregorio di Nissa, pur considerando veritiera l’intuizione dei filosofi, esclama: “Guardando all’altezza della legislazione divina, io ritengo che in questa giustizia si debba intendere qualcosa di più” [15]. La giustizia è “la bellezza per se stessa”; il desiderio di giustizia “è comune ad ogni uomo” e quindi deve essere realizzabile dal povero e dal ricco, e non solo da chi è preposto all’amministrazione della giustizia nella società: se infatti riguardasse soltanto coloro che sono costituiti nel potere – si domanda San Gregorio – “come potrebbe essere giusto quel Lazzaro messo da parte alla porta del ricco, che nessuna materia possedeva per tale giustizia?” [16].
È necessario ascendere “alla montagna spirituale della elevata contemplazione” per accorgersi che la giustizia non è frutto della ricchezza e del potere. La crescita della ricchezza infatti sazia alcuni gettando nella fame gli altri; il cristiano invece è “affamato di giustizia” perché la giustizia è una ricchezza spirituale simile alla luce del sole: “il sole distribuiste se stesso a tutte le persone che lo guardano e giunge tutto intero a ciascuna” [17].
Nelle “beatitudini” i credenti videro l’immagine di una “scala” che sale verso le altezze di Dio: la Scala del Paradiso. La vita terrestre è un’ ascensione dalla terra al cielo. Ogni persona che” aspira alla felicità eterna potrà riconoscere nelle beatitudini i gradini di una scala privilegiata”, afferma Gregorio di Nissa [18]. “Tu prega per ottenere la felicità! … Si deve cercare la vita beata e chiederla al Signore”, raccomanda Agostino [19].
E San Cesario di Arles svela che tutti i credenti, vivendo le beatitudini, hanno la grande possibilità di restituire a Dio il suo amore riversandolo soprattutto sui poveri e sugli affamati: “Dio su questa terra ha fame e sete nella persona di tutti i poveri … Quando un povero ha fame, è Cristo che ha fame … Egli si degna di aver fame e sete in tutti i poveri: quello che riceve sulla terra, lo restituisce in cielo” [20].
I martiri amarono le beatitudini del Vangelo, perché Gesù con le sue promesse illuminava i loro passi verso la vita eternamente beata. I discepoli di Cristo riconoscevano nel “battesimo” il primo passo verso il “martirio” e nel martirio vedevano la strada verso la risurrezione. Nel “martirio visibile” ed anche nel “martirio nascosto”: esistono infatti in ogni epoca – afferma Origene – cristiani che” sono già martiri nel segreto della coscienza, pronti a effondere il proprio sangue per il nome del Signore nostro Gesù Cristo” [21]. Sant’Ambrogio mostra che la “beatitudine” terrestre è un pellegrinaggio verso la beatitudine eterna e annunzia ad ogni credente che il suo compagno di viaggio nella strada dalla terra al cielo è Gesù: “Egli ti accompagna fino al martirio e ti propone la palma delle beatitudini” [22].
La “palma delle beatitudini” è la promessa di Gesù ai “perseguitati per la giustizia”, ai quali Sant’Ambrogio ricorda che il Messia li esorta a gioire nella sofferenza: “rallegratevi ed esultate!” (Mt 5,12). Il sorriso sul volto di chi soffre e muore per Cristo non è una coloritura dei racconti agiografici, ma una luce reale e misteriosa che si irradia da quei cristiani nei quali “nessuna bufera, nessuna insidia profonda, nessun terrore della morte o della pena diminuisce l’energia dell’ amore” [23]. San Gregorio di Nissa sceglie come modello esemplare di questa testimonianza il santo martire Stefano, che “gioisce colpito da tutte le parti dalle pietre e avidamente accoglie nel suo corpo come una dolce rugiada ifiocchi di neve delle pietre, l’uno dopo l’altro, e ricambia con benedizioni gli uccisori” [24].
Sant’Agostino mostra che l’esultanza dei martiri non nasce da un sovrumano stoico coraggio. Essi non godono “perché subiscono tormenti”, ma perché “sono felici nella speranza” [25]. I martiri, mostrando agli uomini che “l’odio è morte” e “l’amore è vita”, partecipano al mistero pasquale di Cristo, che li accompagna nel passaggio dalla morte alla vita [26].
I santi, entrando nella vita immortale, annunziano ai viventi la “ineffabile eterna dolcezza” della visione di Dio: “allora osiamo dire che noi potremo con la nostra intelligenza toccare qualcosa dell’unità della Trinità, nella quale vi sarà la pace perfetta” [27]. Sant’Agostino arde dal desiderio di conoscere quale sarà la felicità futura: “Lassù si canterà Alleluia, lassù si canterà Amen all’unisono con gli angeli, lassù ci sarà la visione perenne e l’amore immortale” [28].
San Leone Magno svela che i credenti possono pregustare la beatitudine della vita celeste se sono “affamati e assetati di giustizia” nella vita terrestre: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati. Siano le opere di carità le nostre squisite pietanze, riempiamoci di quei cibi che ci nutrono per la vita eterna. La nostra gioia sia nel ristoro dei poveri, saziati a nostre spese. La nostra soddisfazione più piena sia nel vestire gli ignudi che avremo coperto con i necessari indumenti. Facciamo sentire il nostro spirito umanitario ai malati costretti a letto, agli infermi nella loro debolezza, agli esuli nel loro travaglio, agli orfani nel loro stato di abbandono, alle vedove desolate e meste. Non c’è nessuno che non possa, nell’aiutare questa gente, dimostrare almeno in parte la sua benevolenza, perché nessuno ha un patrimonio piccolo se ha un cuore grande” [29].
“Il Signore – conclude San Leone Magno – andò in un luogo solitario di un vicino monte. Lassù chiamò a sé gli apostoli, per istruirli dall’ alto di quella misteriosa cattedra con dottrine più elevate… Colui che aveva parlato a Mosè, parlò anche agli apostoli… Non era circondato, come allora, da dense nubi, né da tuoni e bagliori terribili, che tenevano lontano dal monte il popolo. Ora si intratteneva con i presenti in un dialogo tranquillo e affabile. Egli fece questo perché la soavità della grazia rimuovesse la severità della legge e perché lo spirito di adozione eliminasse il terrore della schiavitù. il significato dell’insegnamento di Cristo lo manifestano le sue parole. Coloro che desiderano pervenire alla beatitudine eterna riconosceranno dai detti del Maestro quali siano i gradini da percorrere per salire alla suprema felicità” [30].

Pietro Meloni

NOTE

1 Gregorio di Nissa, Le Beatitudini I e Agostino, Sul Salmo 118, 1, l.
2 Agostino, Sul Salmo 118, 1, l.
3 Agostino, La Vita Beata 2, 11 e Il Sermone del Signore sul monte I 1, 1. 
4 Apocalisse di Pietro 1-3 (fr. Akhmim), in M. ERBETTA, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, III. Lettere e Apocalissi, Torino 1969, p. 216.
5 J. DUPONT, Le Beatitudini, I, trad. ital., Roma 1972, p. 1113.
6 M. J. LAGRANGE, Évangile selon saint Luc, Paris 1921, p. 80.
7 Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 13, 5.
8 Origene, Omelie sul Vangelo di Luca 38. 
9 Si vedano i miei studi: «Beati gli affamati e assetati di giustizia». L’ìnterpretazione patristica, in «Sandalion» 2 (1979), pp. 143-219 e «Beati i perseguitati per la giustizia». L’interpretazione patristica, in «Sandalion» 3 (1980), pp. 192-250.
10 Gv 6,35.
11 Testamento dei Dodici Patriarchi. Testamento di Levi III 13,5.
12 Origene, Commento al Vangelo di Matteo 5,6, Cat. 83. 
13 J. DUPONT, Le Beatitudini, I, p. 1112.
14 Cicerone, De natura deorum I 2.
15 Gregorio di Nissa, Le Beatitudini IV 1236.
16 Ibidem IV 1236.
17 Ibidem I 1193-1196.
18 Gregorio di Nissa, Le Beatitudini L.
19 Agostino, Lettera a Proba 130,4,9 e 13,24.
20 Cesario di Arles, Sermone 25, 1: CCL 103, 112.
21 Origene, Omelie sui Numeri X 2.
22 Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca 5, 59.
23 Ambrogio, Giacobbe I, 27.
24 Gregorio di Nissa, Le Beatitudini VIII, 1296 B.
25 Agostino, Sul Salmo 118, s. 1, 3.
26 Agostino, Sul Salmo 85, 54, 7.
27 Agostino, Sul Salmo 85,24 e Lettera 171 A,2.
28 Agostino, Sul Salmo 85, 11. 
29 Leone Magno, Sermone 40, 4.
30 Leone Magno, Sermone 95, 1-2.

(Fonte: Vol. 32-33 (2009-2010 pubbl. 2011), p. 173-180)