Perché il cristianesimo torni a far ardere il cuore va presentato non come un codice morale ma come uno stile di vita; avventura radicale, non «spiritualità gentile». Il nuovo libro del domenicano
«Il cristianesimo in Occidente – dice Timothy Radcliffe – potrà rifiorire solo se riusciremo a coinvolgere l’immaginazione dei nostri contemporanei. Credo che l’ateismo rappresenti non tanto una sfida per la nostra intelligenza, quanto piuttosto per la nostra immaginazione». Ed è tutto un invito ai cristiani del nostro tempo a riaccendere la fiamma della speranza e a ravvivare la fede un po’ spenta e addomesticata (come si è visto in questo tempo di pandemia) quello che emerge dall’ultimo, impressionante saggio del domenicano inglese, noto teologo e biblista che dal 1992 al 2001 è stato maestro dell’ordine, dal titolo Accendere l’immaginazione (Emi, pagine 496, euro 31, in libreria da oggi). Per il cardinale Newman «l’immaginazione, non la ragione, è il grande nemico della fede». Il famoso teologo vissuto nell’800 non voleva certo dire che l’immaginazione dei cristiani deve volare rasoterra, ma guardava al modo con cui i suoi contemporanei immaginavano il mondo: senza trascendenza.
Radcliffe raccoglie la sfida e, in un tempo dominato dalla «globalizzazione della superficialità» e dal «nientealtrocheismo », vale a dire dalla tendenza alla semplificazione, sostiene che l’immaginazione «può essere la porta attraverso cui sfuggiamo ai limiti di ogni modalità riduzionista di vedere la realtà». Viaggiando molto in aereo per tenere conferenze in tutto il globo, almeno negli anni precedenti al coronavirus (l’edizione inglese del volume è del 2019), il domenicano ha avuto modo di leggere moltissimo e guardare numerosissimi film. Ciò che mostra di preferire sono di gran lunga i romanzi e le serie tv: da Philip Roth a Cormac McCarthy sino a Friends o Killing Eve, a dimostrazione di una curiosità intellettuale formidabile. Tutto ciò che gli passa sottomano viene filtrato attraverso gli occhi della fede, alla maniera di San Paolo: «Vagliate tutto e trattenete il valore». Nelle prime pagine c’è già una citazione luminosa di Emma Donoghue e del suo romanzo Room. Stanza, letto, armadio, specchio, in Italia tradotto da Mondadori nel 2016: una madre viene sequestrata e rinchiusa in un capanno dove partorisce e cresce il figlio Jack. L’unico contatto col mondo esterno sono un lucernario e un televisore. Un po’ come accade nel mito della caverna di Platone o nel film Truman Show. Ma finalmente un bel giorno Jack riesce a fuggire e scopre la bellezza e l’immensità dell’universo.
«È un’immagine che mi ha colpito – commenta Radcliffe quale meravigliosa metafora della liberazione della nostra immaginazione dalle restrizioni della mentalità univoca. Dal bianco e nero si passa al colore». Ciò che mette a rischio l’immaginazione religiosa infatti non è tanto l’ateismo, quanto un modo piatto di vedere il mondo. È lo stesso concetto espresso magistralmente da Flannery O’Connor a proposito di quella che Radcliffe chiama «l’immaginazione dogmatica». Per la scrittrice americana «un dogma è una via d’accesso alla contemplazione e uno strumento di libertà, non di costrizione; salvaguarda il mistero a tutto vantaggio della mente umana». Il volume del teologo infatti è sorprendente anche perché rafforza l’idea del cristianesimo come controcultura rispetto alla mentalità comune, sopraffatta dal «paradigma tecnocratico», come l’ha chiamato papa Francesco. La ricerca della verità non blocca affatto l’avventura della mente umana e il fatto di sostenere una visione del mondo, come fanno le religioni, non impedisce certo il libero dibattito e lo sviluppo del pensiero.
Qui Radcliffe critica Steve Jobs che nel noto discorso a Stanford invitò i giovani neolaureati che lo ascoltavano a «non lasciarsi intrappolare dai dogmi». E ricorda una frase emblematica di Chesterton: «Vi sono solo due tipi di persone: quelle che accettano i dogmi e lo sanno, e quelle che accettano i dogmi e non lo sanno». Come dire che non solo chi crede ha certezze e convinzioni radicate. Nell’impresa di attirare l’immaginazione dei contemporanei, il cristianesimo, come accennato, può trovare alleata la letteratura e soprattutto la poesia.
Da Graham Greene a Seamus Heaney, da Czeslaw Milosz a Marylinne Robinson, il volume è una continua carrellata di richiami e suggestioni, per far capire che «la vita non si riduce a elettricità cerebrale e pulsazione sanguigna; è dinamica e orientata a un fine». Ma anche la scienza si rivela un’amica della fede. Anche se non nega che le posizioni di alcuni scienziati come Hawking dicono il contrario, Radcliffe conclude che «non è la scienza a compromettere la visione religiosa delle cose». Giungendo poi a chiedersi, sulla scia di Teilhard de Chardin e degli studi più recenti della teologa cattolica americana Elizabeth Johnson, se la scienza non potrebbe aiutare l’immaginazione cristiana ad aprirsi nuovamente a una prospettiva di lunga durata.
E dinanzi alla «generazione fiocco di neve », quella dei giovani che chiedono di essere protetti da ogni pericolo e difficoltà, va ribadito che il cristianesimo è un’avventura rischiosa. Non è un caso che i libri più amati del XX secolo siano racconti di avventure di ispirazione cristiana, Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, secondo lo stesso Tolkien intrisi di cattolicesimo. Ma anche nei racconti di Narnia di C.S. Lewis e nelle storie di Harry Potter l’ispirazione religiosa è evidente. Ciò significa, secondo Radcliffe, che «se quell’avventura che è il cristianesimo potesse essere raccontata come merita, intercetterebbe la sete di trascendenza ». Come accade anche nel romanzo La strada di McCarthy, che evoca «splendidamente l’immagine della vita come un’avventura dalla quale l’ombra di Dio non è mai assente».
Ma perché il cristianesimo torni a far ardere il cuore delle persone, come accadde ai missionari che in età moderna evangelizzarono Africa, Asia e America Latina, occorre che sia presentato non come un codice morale ma come uno stile di vita. Troppo spesso anche negli ultimi decenni è prevalsa la tendenza a descrivere il cristianesimo come qualcosa di piacevole e sicuro, come una «allettante spiritualità gentile». Dimenticando la radicalità del Vangelo e, appunto, il rischio dell’avventura. Si tratta anche, infine, di sgombrare il campo dai pregiudizi su ciò che i cristiani credono. Questa è la vera urgente sfida di una nuova immaginazione cristiana. La sapranno cogliere non solo scrittori e teologi, ma anche i singoli fedeli?
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