martedì 21 aprile 2020

SettimanaNews: Papa Francesco, Esercizi di speranza

Papa Francesco, in un articolo pubblicato dalla rivista spagnola Vida Nueva, raccoglie le esperienze di oggi, quell’unzione della corresponsabilità per accudire e non mettere a rischio la vita degli altri, e tratteggia i contorni di una nuova immaginazione possibile intorno a cui convoca l’umanità come un solo popolo e tutta la comunità internazionale.

«Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: “Rallegratevi”» (cf. Mt, 28, 9). Sono le prime parole del Risorto dopo che Maria Maddalena e l’altra Maria scoprirono il sepolcro vuoto e s’imbatterono nell’angelo. Il Signore va loro incontro per trasformare il loro lutto in gioia e consolarle in mezzo alle afflizioni (cf. Ger 31, 13). È il Risorto che vuole risuscitare a una vita nuova le donne e, con loro, l’umanità intera. Vuole farci già iniziare a partecipare della condizione di risorti che ci attende.

Invitare alla gioia potrebbe sembrarci una provocazione, e persino uno scherzo di cattivo gusto dinanzi alle gravi conseguenze che stiamo subendo a causa del Covid-19. Non sono pochi quelli che potrebbero ritenerlo, al pari dei discepoli di Emmaus, come un gesto d’ignoranza o d’irresponsabilità (cf. Lc 24, 17-19). Come le prime discepole che andavano al sepolcro, viviamo circondati da un clima di dolore e d’incertezza che porta a chiederci: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?” (Mc 16, 3). Come faremo per affrontare questa situazione che ci ha completamente sopraffatti?

L’impatto di tutto ciò che sta accadendo, le gravi conseguenze che già si segnalano e s’intravedono, il dolore e il lutto per i nostri cari ci disorientano, angosciano e paralizzano. È la pesantezza della pietra del sepolcro che s’impone dinanzi al futuro e che minaccia, con il suo realismo, di seppellire ogni speranza. È la pesantezza dell’angoscia di persone vulnerabili e anziane che attraversano la quarantena nella più assoluta solitudine, è la pesantezza delle famiglie che non sanno più come portare un piatto di cibo sulla loro tavola, è la pesantezza del personale sanitario e degli addetti alla sicurezza quando si sentono esausti e sopraffatti… quella pesantezza che sembra avere l’ultima parola.

francesco dopo coronavirus

È tuttavia commovente ricordare l’atteggiamento delle donne del Vangelo. Di fronte ai dubbi, alla sofferenza, alla perplessità dinanzi alla situazione, e persino alla paura della persecuzione e di tutto ciò che sarebbe potuto accadere loro, furono capaci di mettersi in movimento e di non lasciarsi paralizzare da quello che stava succedendo. Per amore verso il Maestro, e con quel tipico, insostituibile e benedetto genio femminile, furono capaci di accettare la vita come veniva e di aggirare astutamente gli ostacoli per stare accanto al loro Signore.

A differenza di molti degli Apostoli che fuggirono in preda alla paura e all’insicurezza, che negarono il Signore e scapparono (cf. Gv 18, 25-27), loro, senza evadere né ignorare quello che stava accadendo, senza fuggire né scappare… seppero semplicemente esserci e accompagnare. Come le prime discepole che, in mezzo all’oscurità e allo sconforto, riempirono la loro borsa di olii aromatici e si misero in cammino per andare a ungere il Maestro sepolto (cf. Mc 16, 1), così noi abbiamo potuto, in questo tempo, vedere molti che hanno cercato di portare l’unzione della corresponsabilità per accudire e non mettere a rischio la vita degli altri.

Abbiamo visto mani che ungono corpi
A differenza di quanti fuggirono con la speranza di salvare sé stessi, siamo stati testimoni di come vicini e familiari si sono impegnati, con sforzo e sacrificio, a restare in casa e frenare così la diffusione. Abbiamo potuto scoprire come molte persone che già vivevano e dovevano subire la pandemia dell’esclusione e dell’indifferenza hanno continuato ad adoperarsi, accompagnandosi e sostenendosi, affinché la situazione sia (o meglio, fosse) meno dolorosa.

Abbiamo visto l’unzione versata da medici, infermieri e infermiere, magazzinieri, addetti alla pulizia, badanti, trasportatori, forze di sicurezza, volontari, sacerdoti, religiose, nonni ed educatori e tanti altri che hanno avuto il coraggio di offrire tutto ciò che avevano per dare un po’ di cura, calma e animo alla situazione. Anche se la domanda continuava a essere la stessa: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?» (Mc 16, 3), tutti loro non hanno smesso di fare ciò che sentivano di potere e dover dare.

I nostri gesti di oggi non sono vani
Ed è stato proprio lì, in mezzo alle loro occupazioni e preoccupazioni, che le discepole furono sorprese da un annuncio straripante: «Non è qui. È risorto». La loro unzione non era un’unzione per la morte, ma per la vita. Il loro vegliare e accompagnare il Signore, persino nella morte e nella disperazione più grande, non era vano, anzi permise loro di essere unte dalla Resurrezione: non erano sole, Lui era vivo e le precedeva lungo il cammino. Solo una notizia straripante era capace di rompere il circolo che impediva loro di vedere che la pietra era già stata rotolata via, e il profumo versato aveva più capacità di diffusione di ciò che le minacciava.

Questa è la fonte della nostra gioia e speranza, che trasforma il nostro agire: le nostre unzioni, la nostra dedizione… il nostro vegliare e accompagnare in ogni forma possibile in questo tempo, non sono né saranno vani: non è dedizione per la morte. Ogni volta che prendiamo parte alla Passione del Signore, accompagniamo la passione dei nostri fratelli, vivendo anche la stessa passione, le nostre orecchie ascolteranno la novità della Resurrezione: non siamo soli, il Signore ci precede nel nostro cammino rimuovendo le pietre che ci paralizzano. Questa buona novella fece sì che quelle donne tornassero sui loro passi a cercare gli Apostoli e i discepoli che restavano nascosti per raccontare loro: «La vita strappata, distrutta, annientata sulla croce si è risvegliata ed è tornata a pulsare» (R. Guardini, El Señor, 504).

Questa è la nostra speranza, quella che non potrà esserci strappata, messa a tacere o contaminata. Tutta la vita di servizio e di amore che avete donato in questo tempo tornerà a pulsare. Basta aprire una fessura perché l’unzione che il Signore ci vuole donare si espanda con forza inarrestabile e ci consenta di contemplare la realtà dolente con uno sguardo rinnovatore.

E, come le donne del Vangelo, anche noi siamo ripetutamente invitati a tornare sui nostri passi e a lasciarci trasformare da questo annuncio: il Signore, con la sua novità, può sempre rinnovare la nostra vita e quella della nostra comunità (cf. Evangelii gaudium, n. 11). In questa terra desolata, il Signore s’impegna a rigenerare la bellezza e a far rinascere la speranza: «Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43, 19). Dio non abbandona mai il suo popolo, è sempre accanto a lui, specialmente quando il dolore si fa più presente.

Il tempo favorevole
Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo è che nessuno si salva da solo. Le frontiere cadono, i muri crollano e tutti i discorsi integralisti si dissolvono dinanzi a una presenza quasi impercettibile che manifesta la fragilità di cui siamo fatti. La Pasqua ci convoca e c’invita a fare memoria di quest’altra presenza discreta e rispettosa, generosa e riconciliatrice, capace di non rompere la canna incrinata né di spegnere lo stoppino che arde debolmente (cf. Is 42, 2-3) per far pulsare la vita nuova che vuole donare a tutti noi.

È il soffio dello Spirito che apre orizzonti, risveglia la creatività e ci rinnova in fraternità per dire presente (oppure eccomi) dinanzi all’enorme e improrogabile compito che ci aspetta. È urgente discernere e trovare il battito dello Spirito per dare impulso, insieme ad altri, a dinamiche che possano testimoniare e canalizzare la vita nuova che il Signore vuole generare in questo momento concreto della storia. Questo è il tempo favorevole del Signore, che ci chiede di non conformarci né accontentarci, e tanto meno di giustificarci con logiche sostitutive o palliative, che impediscono di sostenere l’impatto e le gravi conseguenze di ciò che stiamo vivendo.

Questo è il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci. Lo Spirito, che non si lascia rinchiudere né strumentalizzare con schemi, modalità e strutture fisse o caduche, ci propone di unirci al suo movimento capace di “fare nuove tutte le cose” (Ap 21, 5).

In questo tempo ci siamo resi conto dell’importanza “di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale” (Lettera enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015, n. 13). Ogni azione individuale non è un’azione isolata, nel bene o nel male. Ha conseguenze per gli altri, perché tutto è interconnesso nella nostra Casa comune; e se sono le autorità sanitarie a ordinare il confinamento in casa, è il popolo a renderlo possibile, consapevole della sua corresponsabilità per frenare la pandemia. «Un’emergenza come quella del Covid-19 si sconfigge anzitutto con gli anticorpi della solidarietà» (Pontificia Accademia per la Vita. Pandemia e fraternità universale, Nota sulla emergenza da Covid-19, marzo 2020).

Siamo un solo popolo
Lezione che romperà tutto il fatalismo in cui ci eravamo immersi e ci permetterà di sentirci nuovamente artefici e protagonisti di una storia comune e, così, rispondere insieme a tanti mali che affliggono milioni di persone in tutto il mondo. Non possiamo permetterci di scrivere la storia presente e futura voltando le spalle alla sofferenza di tanti. È il Signore che ci domanderà di nuovo: “Dov’è tuo fratello” (Gn 4, 9) e, nella nostra capacità di risposta, possa rivelarsi l’anima dei nostri popoli, quel serbatoio di speranza, fede e carità in cui siamo stati generati e che, per tanto tempo, abbiamo anestetizzato e messo a tacere.

Se agiamo come un solo popolo, persino di fronte alle altre epidemie che ci minacciano, possiamo ottenere un impatto reale. Saremo capaci di agire responsabilmente di fronte alla fame che patiscono tanti, sapendo che c’è cibo per tutti? Continueremo a guardare dall’altra parte con un silenzio complice dinanzi a quelle guerre alimentate da desideri di dominio e di potere? Saremo disposti a cambiare gli stili di vita che subissano tanti nella povertà, promuovendo e trovando il coraggio di condurre una vita più austera e umana che renda possibile una ripartizione equa delle risorse? Adotteremo, come comunità internazionale, le misure necessarie per frenare la devastazione dell’ambiente o continueremo a negare l’evidenza?

La globalizzazione dell’indifferenza continuerà a minacciare e a tentare il nostro cammino… Che ci trovi con gli anticorpi necessari della giustizia, della carità e della solidarietà. Non dobbiamo aver paura di vivere l’alternativa della civiltà dell’amore, che è “una civiltà della speranza: contro l’angoscia e la paura, la tristezza e lo sconforto, la passività e la stanchezza. La civiltà dell’amore si costruisce quotidianamente, ininterrottamente. Presuppone uno sforzo impegnato di tutti. Presuppone, per questo, una comunità impegnata di fratelli” (Eduardo Pironio, Diálogo con laicos, Buenos Aires, 1986).

In questo tempo di tribolazione e di lutto, auspico che, lì dove sei, tu possa fare l’esperienza di Gesù, che ti viene incontro, ti saluta e ti dice: «Rallegrati» (cfr. Mt 28, 9). E che sia questo saluto a mobilitarci a invocare e amplificare la buona novella del Regno di Dio.

 Testo originale spagnolo pubblicato sulla rivista Vida Nueva (17 aprile). Traduzione italiana apparsa su l’Osservatore Romano.