La durissima prova a cui siamo sottoposti in questo momento storico attiva le nostre forze interiori, che danno vita a quella resistenza e resilienza capace di accompagnarci psicologicamente e spiritualmente. Nondimeno, in questo laborioso lavoro interiore, è chiamata in causa la stessa fede cristiana, chiamata a essere antidoto contro la paura, lo smarrimento e l’angoscia, ma anche a far intravedere le possibilità nuove che Dio apre per noi, pur dentro una situazione difficile come quella a cui il coronavirus ci sta sottoponendo.
Un messaggio di speranza
Da più parti – mi preme ricordarlo – la voce dei laici e dei loro pastori si sta facendo sentire anzitutto con un messaggio di speranza; da questo momento di grande prova e sofferenza avremo la possibilità di uscire in modo nuovo, anche dal punto di vista spirituale. Mentre camminiamo nel deserto, senza pane e senza acqua, chiedendoci anche se «Dio è con noi oppure no», coltiviamo anche la segreta speranza del cuore che il Signore ci sta purificando da molte cose e, a suo modo, ci sta conducendo verso una terra nuova dove scorrono latte e miele. Vedere i campi che già biondeggiano di grano, mentre ancora il gelo e il freddo ci fanno sentire solo come dei terreni aridi, è il contenuto di quella speranza cristiana che, in queste ore, prende corpo grazie a messaggi, riflessioni, omelie e molte altre parole quotidiane che circolano specialmente sui social.
Cosa sta succedendo nella Chiesa italiana
Tuttavia, non si può tacere che questa inedita situazione sta anche scoperchiando il vaso di pandora di una spiritualità cristiana e di una diffusa visione ecclesiologica, che meritano di essere affrontate forse ora più che mai. Per comprenderne tutta la portata, basta soffermarsi un momento su quel fiume carsico che si sta gonfiando di acque, da quando l’emergenza coronavirus ha “costretto” i vescovi italiani a sospendere tutte le celebrazioni, anche festive, e in certi casi chiudere i luoghi di culto.
Da quel momento, si sono attivate alcune reazioni che anche nelle ultime ore contribuiscono a generare confusione e, soprattutto, fanno emergere in tutta la sua prepotenza un aspetto non poco preoccupante della vita cristiana ed ecclesiale: l’insormontabile difficoltà di vivere – dopo decenni dal concilio Vaticano II – una spiritualità laica e laicale in una Chiesa realmente popolo di Dio.
Tre aspetti critici
Per esigenza di chiarezza, cercherò di sintetizzare la questione in modo schematico.
“Messa sì, Messa no”
Per alcuni il digiuno eucaristico che ci è stato imposto è insopportabile. Naturalmente, non si può negare che sia per tutti noi una sofferenza. Tuttavia, sta emergendo nel nostro cattolicesimo italiano qualcosa che ha dell’eccessivo: l’eccessiva sacramentalizzazione della vita della fede, più specificatamente l’eccessivo sbilanciamento dell’azione pastorale che riduce l’essere Chiesa a «una fabbrica di Messe» (celebrate per ogni occasione, a ogni ora, più volte al giorno) e la spiritualità cristiana al semplice – talvolta abitudinario e convenzionale – «andare a Messa». O la Messa o il nulla.
Scriveva il professore benedettino Elmar Salmann: «Fino ad oggi noi abbiamo o parrocchia o niente, o la Messa o niente, o uno si fa prete o non ha nessun ruolo, o si sposa in chiesa o non c’è niente, o viene battezzato o non c’è niente». Non può continuare così. C’è – e lo ha detto papa Francesco in Evangelii gaudium – un predominio della sacramentalizzazione su altre forme di evangelizzazione.
Dispiace che dopo anni di riflessioni sull’importanza della Parola di Dio, della preghiera in famiglia e della «Chiesa domestica», oggi siano andate in confusione anche le menti più illuminate. Se in questo momento c’è più tempo per tutti, oggi potrebbe essere un’occasione unica per l’ascolto, la lettura e la meditazione della Parola di Dio; per pregare insieme in famiglia e coltivare un’altra qualità della relazione personale con Dio; per fare silenzio o leggere un bel testo di spiritualità. Per scoprire, cioè, che lo Spirito Santo abita nei nostri cuori e nella vita, prima ancora che nelle chiese.
Ma la domanda è: abbiamo educato il Popolo di Dio all’ascolto della Parola di Dio? A pregare nella vita quotidiana? A saper celebrare con la vita quella Messa che – come spesso pure diciamo nelle prediche – inizia e si celebra nei travagli dell’esistenza e di ogni situazione umana? Ite Missa est funziona ancora o la Messa è solo quella che si esprime nella ritualità liturgica? La Mensa della Parola di Dio esiste ancora o, non potendo celebrare, moriremo di fame spirituale?
Chiese aperte, chiese chiuse
Posta in questi termini l’alternativa è abbastanza sterile. La Chiesa esiste per evangelizzare e non è certo un ufficio o un’agenzia che puoi chiudere quando vuoi. Per sua natura, come papa Francesco ripete da tempo, è sempre aperta e in uscita. Tuttavia, perdonatemi la franchezza, resto davvero di stucco se dopo 60 anni dal concilio Vaticano II e dalla sua ecclesiologia, noi pensiamo ancora la Chiesa nei termini del luogo fisico dell’edificio di culto; è davvero sconfortante per chi abbia studiato un minimo di teologia immaginare che, se domani non ci fossero più chiese fondate su pietra d’uomo, noi non saremmo più la Chiesa e la Chiesa non sarebbe più; è ancora più sconvolgente l’assordante scarsa comprensione del Vangelo, in cui Gesù relativizza il Tempio invocandone perfino la distruzione, indicando se stesso come vero Tempio e annunciandoci il dono dello Spirito Santo, che avrebbe reso anche noi Tempio del Padre.
Lo Spirito che abbiamo ricevuto ci rende figli e, perciò, ci conduce ad adorare Dio né su quel monte e né in nessuna Gerusalemme umana, ma “in spirito e verità”; siamo diventati – secondo le parole di Paolo – un edificio spirituale fatto di pietre vive, ben ordinate in Cristo Gesù; e la nostra vita – non un rito esteriore – è il vero culto spirituale gradito a Dio. Questo significa che le chiese non servono? Sarebbe dire una grande sciocchezza. Ma – ci ha ricordato papa Francesco in un Angelus del 2014 e in altre occasioni – la Chiesa non è l’edificio di mattoni, ma il suo cuore fatto di pietre vive.
Si comprende la fatica, la sofferenza, anche la buona intenzione di tanti parroci; forse – come ha giustamente scritto anche Andrea Grillo in questi giorni – tenere una chiesa aperta può anche essere un segno “fisico” di speranza in questo momento doloroso; tuttavia, la questione è tutt’altra: noi siamo, con la nostra vita, il nostro lottare e sperare quotidiano, la Chiesa viva e aperta al di là di tutti i decreti legge, anche se ci trovassimo in un regime che ci impedisse di riunirci e pregare. E la confusione generata in questi giorni non va bene, meno bene vanno quei banali commenti sul fatto che i supermercati sono aperti e la chiesa no. Niente affatto.
Le chiese sarebbero aperte se avessimo davvero aiutato le persone a scoprire il valore inestimabile del loro battesimo che li rende pietre vive del Tempio e membra vive del corpo di Cristo. Non solo: sarebbe ora di ascoltare umilmente la scienza, che insieme alle autorità che ci governano, ci invita a restare a casa, o la curva dei contagi non allenterà.
La spiritualità laicale
Un’ultima parola vorrei spenderla sulla specificità della vocazione e della spiritualità laicale che, a quanto pare, subisce ancora gli effetti di un clericalismo e di un ecclesiocentrismo che spaventano. A cosa è chiamato un battezzato? Qual è il significato del suo sacerdozio battesimale? Il concilio Vaticano II parla dei laici – che non dimentichiamolo, sono la maggioranza del popolo di Dio – come coloro che “vivono nel secolo” e sono chiamati a vivere la propria vita e a compiere i propri doveri con spirito evangelico «in tutti e singoli i doveri e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta» (LG 31).
I laici, cioè, cercano il Regno di Dio nelle cose ordinarie e secolari: contrariamente a certi moralismi dei linguaggi ecclesiali, la vocazione del cristiano laico è la secolarità, la quale è manifestazione di Dio. Il sacrificio spirituale offerto a Cristo dai laici, che partecipano del sacerdozio battesimale, è questo trovare Dio in tutte le cose e far fermentare il suo Regno nelle situazioni della vita e della storia. Il significato nudo ed essenziale della vita cristiana è questo «cercare e trovare Dio in tutte le cose», è questa «teologia del quotidiano» di un Dio incarnato che ci raggiunge nella finitezza delle nostre giornate prima ancora che nelle liturgie del Tempio, è questa bellezza della vita feriale che Karl Rahner definiva «lo spazio della fede, la scuola della sobrietà, l’esercizio della pazienza», che anche impercettibilmente, «nasconde il miracolo eterno e il mistero silenzioso che chiamiamo Dio» (Cose di ogni giorno, Queriniana, Brescia 1994, p. 10)..
In tempo di coronavirus, invece, sembra che i laici senza la celebrazione dell’eucaristia siano privati di tutta la potenza del loro battesimo e a loro non rimane altro che affidarsi alle dirette streaming.
Per la Chiesa italiana, oggi, è tempo di riflessione. O si coglie questo drammatico momento per cambiare o avremo perso un’occasione per sempre.
di: Francesco Cosentino