sabato 13 aprile 2019

L'Osservatore Romano: Lo spazio di Maria nella storia della salvezza

Nel segno di Maria

Prima del tempo il misterioso luogo abitato da Maria è il cuore del Padre, dove egli l’ha desiderata da sempre come madre del suo Figlio.

Il primo spazio abitato da Maria, Bezatha

Nel tempo il primo luogo da lei conosciuto e sperimentato è stato il borgo natio. I Vangeli canonici affermano semplicemente che la Vergine abitava a Nazaret al momento dell’Annunciazione e dopo (cfr. Luca 1, 26; Matteo 2, 23). Tuttavia, parrebbe potersi dire che Maria nacque nella casa di Gioacchino e Anna, in una località a nord di Gerusalemme, chiamata Bezatha. Sembra che le ricerche archeologiche da tempo siano in grado di dare la sicurezza sufficiente per venerare nell’attuale campo di sant’Anna la natività della Santa Vergine (cfr. Léopold Dressaire, Jérusalem à travers les siècles. Histoire - Archéologie – Sanctuaire, Parigi, Bonne Presse, 1931).

In questo campo sorge, vicino alla piscina probatica, una chiesa romanica (XII secolo), eretta sopra antiche costruzioni; la più vetusta di queste risalirebbe all’imperatore Costantino il Grande (280-337) e sarebbe edificata sulla casa natale di Maria (cfr. Vincent–Abel, Jérusalem nouvelle, Parigi, Gabalda, 1926). La Vergine vi nasceva verso l’anno 20 avanti Cristo. Bezatha è un minuscolo caseggiato, un piccolo angolo di mondo. A metraggio sì, ma quel borgo resta un punto strategico nella geografia dell’opera salvifica di Dio, nella quale si colloca la nascita della Madre messianica, un passaggio decisivo nel progetto di quel Dio che «vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Timoteo 2, 4).

Maria è lei stessa spazio santo attraversato da Dio

C’è una significativa coincidenza da notare: quando Maria nasceva a Bezatha, a Gerusalemme avveniva la grandiosa ricostruzione del Tempio, giusto vanto della stessa Vergine. Così si dà la bella coincidenza del simbolo e della realtà: il Tempio profetizza l’inabitazione personale di Dio, che si avrà nel seno di Maria: il Messia nascerà «da donna» (Galati 4, 4). Maria, perciò, è Tempio superiore a quello di Erode perché lei partecipa della dignità di Cristo, il primo Tempio del Padre (cfr. Colossesi 2, 9), punto universale e necessario dell’incontro con Dio (cfr. Giovanni 1, 12.16).

A questo punto le cose si rovesciano: Maria è lei stessa lo spazio santo che accoglie nell’Incarnazione il Figlio. Su questo luogo di mistero si è dato l’evento che ha dato inizio alla creazione nuova, un incalcolabile allargamento di spazi salvifici che Maria ha esperimentato con la vibrante forza della sua fede; questa le ha permesso di rispondere alle grandi domande che anche lei si poneva: da dove vengo? dove vado?

L’esempio da lei lasciato nel dare le vere risposte a queste domande ha aiutato e aiuta ancora a superare la dolorosa frattura tra la persona singola e la grande casa del mondo che sempre spinge alla ricerca di una patria dell’identità in direzione dell’inizio. In questa grande casa si affaccia, con luce velata, l’eterna dimora trinitaria che la Credente sa porre in evidenza come la realtà suprema che è fine e senso di tutto, icona della Chiesa nella sua vita interna e nella sua esperienza in uscita, che è la missione.

A Betlemme la geografia mariana si allarga

Sempre grandi sono gli spazi che Maria abita nella storia della salvezza. Ma a Natale accade altro: Dio realizza in lei un ossimoro, un paradossale contrasto tra l’infinità del mistero e la finitezza della creatura umana che chiede l’inginocchiamento dell’adorazione più pia e profonda: l’infinito Figlio di Dio abita nel purissimo seno creaturale di Maria di Nazaret. Questo è evento che ha meravigliato sempre nella storia della fede e perfino in quella della filosofia. Hegel, ad esempio, osserva con stupore lo sconvolgimento spaziale avvenuto con l’Incarnazione del Figlio nel seno della Vergine Madre.

Il filosofo di Stoccarda, con l’aiuto della parola liturgica, porta in primo piano la figura della Vergine e della sua maternità divina: «L’essenza infinita della incommensurabilità dello spazio è al contempo nello spazio determinato» (Frammento di sistema del 1800, in Scritti teologici giovanili, Milano, Mursia, 1971). In verità, dentro lo «spazio determinato» del seno di Maria, l’Infinito nella figura del Bambino di Betlemme dà forma e collocazione spaziale all’incommensurabilità della sua esistenza eterna, come è detto all’incirca nei versi di un responsorio del Mattutino di Natale che il filosofo accorcia e riassume così: «Colui che tutti i cieli non hanno contenuto / ora giace nel grembo di Maria». Così, per l’evento che Dio ha celebrato nella Vergine nazaretana, la grotta della Natività è diventata una tenda planetaria.

Gesù Cristo, l’Adamo vero, il Figlio eterno diventato uomo nel seno della Vergine Maria, è Bellezza perché è «irradiazione dello splendore del Padre» (Ebrei 1, 3) e, in lui e per mezzo di lui (cfr. Efesini 1; Colossesi 1), s’irradia verso tutti i tempi e gli spazi degli uomini, assieme alla bellezza di Gesù, anche quella di Maria, «la Bellissima» come don Giovanni Minozzi chiamava la Madre di Gesù.

Maria in un altro spazio di mistero, a Nazaret

Prima del suo passaggio a Betlemme per generarvi Gesù, Maria già viveva in «una città della Galilea Nazaret» (Luca 1, 11), dove ricevette l’annuncio dell’Angelo che le proponeva l’Incarnazione del Figlio di Dio nel suo seno. Nazaret è una città particolare, però con un evento non privato, poiché in essa si dà l’aurora della nuova alleanza (cfr. Luca 1, 26-38) (cfr. Aristide Serra, Maria serva del Signore e della nuova alleanza, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2010). Della Casa di Nazaret, che è la Casa di Maria, possiamo dire che, in quell’evento è stata la grande Casa della famiglia umana, di Israele, della Chiesa nascente.

Ma, può una Casa ospitare tre popoli? Sì, perché in essa è stato concepito colui che è Adamo più di Adamo, il cristianesimo in persona e il capo del corpo ecclesiale (la stessa cosa va detta della grotta di Betlemme). Poiché la teologia non può essere solo un argomentare, qui serve fare un’esclamazione: ci vuole davvero tanta impudenza teologica a parlare del cristianesimo, del suo sorgere vitale ignorando del tutto la madre di Gesù! Evidentemente si pensa che, facendo teologia, si possa scavalcare il tema della “terra” santa su cui il Redemptor hominis ha poggiato i piedi e l’anima per entrare nella grande Casa del mondo. Ciò non è accettabile perché non ha senso.

Dopo l’Annunciazione e la nascita di Gesù, Maria è tornata ad abitare a Nazaret con il Figlio (il Nazareno!), «nella sua casa» (Luca 1, 56), vivendovi in modo contemplativo e in un’esperienza totalmente virtuosa. «Situandosi (...) nel cuore dell’evento Luca sembra indicare la persona della Vergine come il mistico spazio ove Dio scende a dialogare con lei. In tutto questo è adombrata l’economia dei tempi nuovi» (Aristide Serra, Maria di Nazaret. Una fede in cammino Milano, Paoline, 1993).

Maria a Gerusalemme, luogo di nascita di tutti

Maria è familiare con Gerusalemme: vi sale portando il Bambino per offrirlo al Signore, riempiendo così il Tempio del suo senso pieno, che mai prima aveva avuto. Vi si porta, inoltre, per stare sotto la Croce per consolare il Figlio morente, per introdurre in quell’evento capitale la presenza di tre popoli (la famiglia di Adamo, il popolo d’Israele, la Chiesa di Cristo). Maria, per così dire, con la sua persona affolla il Calvario oltre ogni misura. In termini accorciati, lei rappresenta Gerusalemme, la città in cui tutti siamo nati.

Gerusalemme è, cioè, il simbolo permanente del destino di grazia di tutte le genti (cfr. Salmi 87, 5). Sion è la madre di tutti i popoli, è l’ombelico e il centro del mondo (Ezechiele 5, 5; 38, 12). Ebbene, Maria collabora con Gesù nella sua opera messianica soprattutto a Gerusalemme, dove qualunque cosa essi fanno salvificamente ha valore universale.

La simbologia del salmo 87, che si richiama a quella dei salmi 46 e 48, presenta Gerusalemme come città aperta ai quattro lati del mondo: l’Ovest (simboleggiato da Rahab, l’Egitto superpotenza occidentale); l’Est (simboleggiato da Babel, superpotenza orientale); il Nord (simboleggiato da Tiro, cioè la Fenicia, potenza commerciale (cfr. Salmi 83, 8); il Sud (simboleggiato da Cus, l’Etiopia, il profondo meridione [cfr. Salmi 68, 32]). Cosicché Gesù e sua madre agiscono salvificamente in una Città aperta ai grandi spazi del mondo.

Aperta planetariamente, Gerusalemme è collegata verticalmente con Dio: i «monti santi» sono l’intersezione assiale fra terra e Cielo. Questa «città del Dio vivente» (Ebrei 12, 22) è residenza dell’intera umanità: «Tutti i popoli vi si raduneranno» (Geremia 3, 17); tutti là hanno la loro registrazione anagrafica in un «libro» che è quello della vita (cfr. Esodo 32, 32-33; Isaia 4, 3; Geremia 17, 13; Deuteronomio 7, 10; Apocalisse 20, 12), il cui fedelissimo custode e incontestabile arbitro è lo stesso Jahvé. Dunque, a Gerusalemme si dà un grande spazio per Maria e anche a causa di lei, perché è compagna di Cristo nell’opera redentiva.

Con Gesù e Maria sulla tolda del mondo

Il Calvario, luogo particolare per speciali esecuzioni di morte, con il Martirio di Gesù diviene spazio universale anche per la presenza di sua Madre: lei, sotto la Croce riceve dal Messia agonizzante la consegna di accogliere come madre il discepolo, ossia tutti i discepoli e, più ancora, l’intera famiglia umana: «Nella persona di Giovanni, secondo il pensiero costante della Chiesa, Cristo volle additare il genere umano e, particolarmente, tutti coloro che avrebbero aderito a lui con fede» (Leone XIII, Adiutricem populi, 5 settembre 1895).

Le grandi opere di Dio alle quali Maria partecipa, i grandi tempi che vive e i grandi spazi che abita o attraversa non contrastano con la sua umiltà? No è la risposta: l’umiltà di Maria dà profondità a quelle grandezze. E queste non contrastano con la kénosi di Cristo? Neppure: la sua croce è la stele salvifica elevata sul mondo, mentre, sotto di essa, Maria è la Dolorosa credente che ascolta “il grido della nona ora” e, nel terzo giorno, intona l’Exsultet pasquale nel cuore dell’Ora. Maria è protagonista del Victory Day con cui il Cristo ha già salvato oggettivamente tutti. Perciò, non bisogna, mai e in alcun modo, privatizzare gli eventi della salvezza che la vedono Socia Salvatoris, né ridurre l’importanza della sua persona e della sua funzione di Madre nella “storia della salvezza”; la conseguenza di questo sarebbe che noi, i figli, diventeremmo, a nostra volta, uomini nani e cristiani lillipuziani.

di Michele Giulio Masciarelli