domenica 28 aprile 2019

L'Osservatore Romano: Amare Dio liberamente

Il nuovo documento della Commissione teologica internazionale (Cti), intitolato La libertà religiosa per il bene di tutti. Approccio teologico alle sfide contemporanee, vuole essere una riflessione teologico-ermeneutica con «un duplice intento: In primo luogo, proporre un aggiornamento ragionato della recezione di Dignitatis humanae. In secondo luogo, esplicitare le ragioni della giusta integrazione — antropologica e politica — fra l’istanza personale e quella comunitaria della libertà religiosa» (n. 12).

Il documento inizia ricordando l’insegnamento della dichiarazione conciliare e la sua recezione da parte del magistero e della teologia, dopo il concilio Vaticano II (capitolo 2). Poi, a modo di quadro sintetico dei principi, soprattutto antropologici, della comprensione cristiana della libertà religiosa, riflette sulla libertà religiosa della persona dapprima colta nella sua dimensione individuale (capitolo 3) e quindi nella sua dimensione comunitaria, sottolineando tra l’altro il valore delle comunità religiose come corpi intermedi nella vita sociale (capitolo 4). I due aspetti sono inseparabili nella realtà; tuttavia, poiché il radicamento della libertà religiosa nella condizione personale dell’essere umano indica il fondamento ultimo della sua dignità inalienabile, appare utile procedere in questo ordine. Successivamente si considera la libertà religiosa nei confronti dello Stato e si offre qualche puntualizzazione a riguardo delle contraddizioni iscritte nell’ideologia che intende lo Stato come religiosamente, eticamente e assiologicamente neutrale (capitolo 5). Nei capitoli finali, il documento si sofferma sul contributo della libertà religiosa alla convivenza e alla pace sociale (capitolo 6), prima di mettere in rilievo il posto centrale della libertà religiosa nella missione della Chiesa oggi (capitolo 7) (cfr. n. 11).

Lungo il percorso della riflessione, compaiono i punti chiave della dottrina pontificia riguardanti il fondamento della libertà religiosa, individuato nella dignità della persona, e si riprendono anche diversi documenti della Cti relativi a tali fondamenti: concezione della persona, dei diritti umani, della libertà e della coscienza, del bene comune, del rapporto fra religione (fede), etica e stato, fra religione e violenza, ecc... È questo l’ineludibile aspetto di continuità sia con il magistero conciliare e pontificio, sia con la riflessione della stessa Cti.

La novità si trova nello scopo principale del documento. Esso non ha voluto essere un testo accademico sui molti aspetti del dibattito sulla libertà religiosa, bensì la proposta di un approccio teologico-ermeneutico di fronte ai principali cambiamenti culturali, sociali, politici e religiosi che, a distanza di 50 anni della chiusura del concilio Vaticano II, urgono un approfondimento delle ragioni ultime della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa.

Si riflette dunque sul cambiamento del contesto religioso nella seconda metà del secolo XX, tenendo presente sia la permanenza del fatto religioso nel mondo, sia la spiegazione che se ne dava nelle teorie della secolarizzazione. Oggi, per la Cti, pare opportuno parlare di libertà religiosa perché il fenomeno religioso è significativamente rilevante nella cultura globale, in un modo diverso da ciò che ci si poteva aspettare negli anni Sessanta del secolo scorso. In particolare — almeno per quanto riguarda alcune tradizioni religiose — esso dimostra la vitalità della dimensione comunitaria della religione e il rilievo sociale della questione della verità.

In secondo luogo, si affronta il problema della libertà religiosa in relazione alla cultura politica liberale, in quanto essa è diventata il linguaggio condiviso internazionalmente, e in quanto le sfide che presenta sono particolarmente impegnative per la libertà religiosa. L’evoluzione della cultura politica liberale nei confronti della libertà religiosa, negli ultimi cinquant’anni, è molto significativa; era quindi necessario rendere conto sia dell’evoluzione in senso individualistico e soggettivistico dei diritti umani, sia della portata della cosiddetta “neutralità” dello Stato. Il documento, comunque, sostiene una visione positiva del legittimo ruolo dello Stato come tale per la vita della comunità sociale e politica.

Si è cercato, in terzo luogo, di sottolineare la chiarezza dell’odierna coscienza ecclesiale nei confronti di una qualsiasi tentazione di egemonia o di strumentalizzazione del potere politico, fosse pure al servizio della religione. Si sostiene che la testimonianza integrale della “fede che agisce per la carità” — in modo personale o associato — è la strada adeguata alla diffusione del Vangelo nel mondo plurale di oggi. Si sottolinea la necessità di una positiva collaborazione fra la dimensione religiosa e la dimensione politica nella vita pubblica, evitando ogni confusione o contrapposizione. Si è forse oggi — pur nelle evidenti differenze geografiche e storiche — in una condizione più simile a quella del primo annuncio evangelico in culture non cristiane che a quella delle situazioni di cosiddetta “cristianità”.

Questa coscienza ecclesiale approfondita consente di avere un criterio ragionevole per vagliare le tradizioni religiose e per discutere le ambiguità della pretesa neutralità della cultura politica liberale. Si offre quindi un criterio di giudizio non soltanto per i rapporti con gli Stati — classico ambito di riflessione sulla libertà religiosa — ma anche per il dialogo interreligioso. In questo senso si riconosce l’evoluzione della coscienza ecclesiale per articolare l’orizzonte proprio di Dignitatis humanae e quello di Nostra aetate.

Il documento denuncia le situazioni di persecuzione violenta della religione, che sono purtroppo frequenti e gravi anche ai giorni nostri, in particolare per quanto riguarda la fede cristiana. Allo stesso tempo, si denuncia ogni violenza esercitata in nome di Dio, sia contro una cultura particolare, sia contro qualsiasi religione. Il martirio cristiano si presenta come caso supremo di testimonianza della fede e, nello stesso tempo, come testimonianza non-violenta della libertà religiosa per il bene di tutti.

Si approfondisce la consapevolezza che l’orizzonte adeguato della libertà religiosa è il servizio al bene comune della società, la crescita di una convivenza nella giustizia per tutti, che serva l’umanità in un mondo globale e interdipendente, e non qualsiasi eventuale privilegio dei gruppi religiosi. È questa una dimensione fondamentale della missione della Chiesa oggi.

Il documento valorizza il legame fra la libertà religiosa, come condizione inerente alla dignità di ogni persona, e la libertà dell’atto di fede cristiana come risposta alla rivelazione divina. Dio non vuole forzare nessuno ma aspetta e desidera la libera risposta di tutti. Ben l’aveva compreso Charles Péguy, che faceva dire a Dio: «Quando si è provato ad essere amati liberamente, le sottomissioni non hanno più nessun gusto. Quando si è provato ad essere amati da uomini liberi, il prosternarsi degli schiavi non vi dice più nulla. (...) Essere amati liberamente, null’altro ha lo stesso peso, lo stesso valore. È certo la mia più grande invenzione» (Il mistero dei santi innocenti, Milano 1979, p.45).

di Javier María Prades López
Universidad San Dámaso (Madrid)