Con la sua usuale schiettezza, papa Francesco, sull’aereo che lo portava a Panama, ha detto ai giornalisti che “la paura rende pazzi”. Effettivamente non si dà attenzione a come e quanto le nostre scelte dipendano dalle paure. Gli «occhi aperti» promessi dal serpente ad Adamo ed Eva sono in realtà occhi spalancati e atterriti dalla «paura» (Genesi 3, 10). Prima del peccato, infatti, gli umani vivevano situazioni che oggi parrebbero paurose: Adamo è completamente solo al mondo, ha a che fare con gli animali (belve feroci comprese); per la prima volta si trova davanti al mistero della donna, come del resto Eva di fronte ad Adamo; i due vedono e odono Dio, la donna parla perfino col tentatore. Eppure nessuna delle circostanze rischiose incute loro paura. Se la paura scatta sempre e solo davanti a un pericolo reale o presunto, Adamo ed Eva, prima del peccato, non avevano il senso del pericolo, vale a dire: non percepivano niente e nessuno come minacciosi per la propria vita. Tutte le cose erano “buone” e segnavano di bontà l’animo dei progenitori, divenendo ostetriche della loro fiducia. Il peccato e la conseguente paura causano invece un cedimento, un deficit nella percezione della familiarità tra il “plasmato di terra” e la terra stessa la quale sembra spegnere la propria generosità, apparendo ostile, obbligando l’uomo a fatica e dolore (Genesi 3, 17-39). Una volta attivato, il senso del pericolo si accende davanti a tutto e a tutti: non solo nei riguardi della terra che da sorella gemella diventa un’estranea da sottomettere, ma anche di fronte a chi fino all’attimo prima incantava con la sua bellezza: Adamo si copre allo sguardo di Eva e viceversa. Insomma: stando alle Sacre Scritture un modo per dire l’innocenza dei progenitori è l’assenza del senso del pericolo; al contrario la paura è la traccia, l’inerzia, l’eredità della colpa. La paura è entrata nel mondo a causa del peccato. Sia ben chiaro: allo stato attuale delle cose, la paura è emozione necessaria alla difesa della vita. Essa sveglia l’attenzione, concentra le forze e i pensieri, mette in moto tutto quanto custodisce la fragile esistenza. Senza paura, si attraverserebbe distrattamente la strada, rischiando di venire investiti. Grazie a essa, si è guardinghi maneggiando il fuoco o una lama; perciò si evitano scottature e ferite. La paura di ammalarci spinge verso l’assunzione di uno stile di vita sano… Tuttavia, dal suo ingresso nella storia è difficile guardare persone e cose liberi dal sospetto che tutto e tutti (perfino la moglie, il marito, i figli, i fratelli, il mondo) siano almeno potenziali nemici, dai quali è bene imparare a difendersi o, come si dice ora, tutelarsi. Ci si tutela da tutto e da tutti, mantenendosi in un costante stato di eccesso di legittima difesa, convincendosi che la miglior difesa è l’attacco.
Proprio tale persistente eccesso di legittima difesa rappresenta la seconda prospettiva con cui le Sacre Scritture interpretano la paura. Infatti se nel libro della Genesi il peccato è la causa della paura, per la Lettera agli ebrei la paura è la causa del peccato. Infatti, stando alla Lettera, al presente, Cristo non ci libera dalla morte, giacché tutti moriamo. Verrà il tempo in cui finalmente ci libererà da essa, non ora. Al momento, Cristo ci svincola dalle catene della paura della morte, l’efficacissimo strumento con cui il diavolo esercita il proprio potere, tenendo tutti in schiavitù, inclinandoci ad agire come vuole (Lettera agli ebrei 2, 14-15). Il denso testo sottende una precisa descrizione del peccato. Ogni genere di peccato altro non è che un possibile modo di risolvere le prove della vita. Il nodo della prova può esser sciolto decidendo di acconsentire alla paura che addita tutto e tutti come minacce, pericoli e nemici, distorcendo l’intera visione del reale. Accecando, la paura diviene “pre-occupazione”, la “prima” occupazione, “il prima” di ogni occupazione, lo sfondo di ogni azione; una malattia che può rendere malvagi e insensibili al senso della vita, inducendo ad atti insensati.
Il mistero di Cristo è la strategia per vincere la paura della morte e di tutte le sue sinistre parenti (la paura di non piacere, di non essere all’altezza, di non avere i mezzi sufficienti per vivere, di non avere il posto che ci spetta, di invecchiare e così via).
Vincere la paura non significa non avvertirla. Lo stesso Figlio di Dio l’ha provata: davanti alla tomba di Lazzaro e dopo il tradimento di Giuda il suo animo era “turbato”; nell’orto degli ulivi, egli sentì paura, tristezza, angoscia. Cristo la provò, ma non le diede ragione. Nella misura in cui le si dà ragione, promuovendo un eccesso di difesa, non si crede. Questo è infatti il tagliente criterio di Gesù per giudicare la qualità della fede: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» (Marco 4, 40). Al fine di intuire qualcosa circa il modo di Cristo di stare al mondo, accostiamo quanto egli dice a chi intende seguirlo: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Matteo 8, 20). Sarebbe fin troppo facile riconoscere all’espressione tonalità esclusivamente ascetiche: la povertà di Gesù è così radicale da privarlo addirittura di quanto — stando al salmo 104 — Dio si premura di provvedere anche agli animali: una casa. Eppure un dettaglio fa propendere per un’altra possibile lettura. Infatti l’immediato seguito del racconto evangelico, con fine ironia, descrive Gesù profondamente addormentato nella barca sconvolta dalle onde a causa di una forte tempesta (Matteo 8, 23-27). Non c’è che dire: «il Figlio dell’uomo non ha luogo dove posare il capo», eppure è in grado di dormire perfino su acque burrascose! Se Cristo allude alla casa — come del resto a «tane» e «nidi» — quale spazio di riposo tranquillo, al sicuro da ogni paura, egli “non ha dove riposare” non per difetto, ma per eccesso di casa, tant’è che perfino un posto mortalmente pauroso come un lago in tempesta è per lui luogo dove trovar pace, spazio affidabile, domestico. Il mondo intero è per il Figlio dell’uomo posto adatto a riposare; vale a dire: il mondo intero è ai suoi occhi una casa. Egli al mondo “si sente a casa”. Questo perché intravede nel mondo il disegno, tuttora in fase di realizzazione, di Colui che, creando, edifica la casa, spazio libero dalla paura, idoneo a custodire e promuovere la vita. Uno modo con il quale Gesù esprime la sua piena fiducia nella competenza e nell’operato del Padre consiste nel suo “sentirsi a casa” nel mondo; in ogni parte del mondo; dovunque e con chiunque. Ciò risulta possibile solo a chi non dà ragione alla paura. Ovvero, non si dà ragione alla paura, poiché nel mondo ci si sente a casa, con cose e persone “di casa”. Da ciò si intuisce che il premio promesso fin da ora a chi rinuncia anche alla casa a favore del Regno — «cento volte in case» (Matteo 19, 29) — riguarda innanzitutto Cristo. È lui che già su questa terra ricevette il centuplo in case, poiché si sentiva a casa dovunque e con chiunque. Ecco perché un modo con cui verificare la qualità reale della nostra fede (e l’entità effettiva della nostra paura) è cogliere quanto ci sentiamo a casa in questo mondo che il Creatore non smette di costruire e rinnovare.
di Giovanni Cesare Pagazzi