L’accoglienza scarsa o banalizzata, il poco dare spazio, possono essere aspetti che la conversione orienta in tanti casi a superare.
GIAMPAOLO CENTOFANTI
ROMA
Gesù non ha scritto, anche perché lui parlava a quelle particolari persone, in quelle particolari situazioni. Allo stesso modo il suo Vangelo avrebbero cercato di comunicarlo i suoi inviati. Dunque ognuno ha il suo personalissimo cammino, con le sue tappe e via dicendo. I seguenti possibili stimoli spirituali per pastori, per laici di lungo cammino, possono venire accolti con cuore tendenzialmente semplice e sereno, aperto, lasciando che maturino a suo tempo, in modo autentico, proprio, durante la strada.
Gesù ha detto che molte cose aveva ancora da manifestarci (all’interno di una rivelazione essenzialmente piena già comunicata), lo Spirito ce le avrebbe mostrate nel tempo, sempre più profondamente riportandoci a Cristo stesso, ai Vangeli. Ciò significa, in un graduale percorso, mettere in discussione in Gesù ogni cosa, fin dalle impostazioni fondamentali del nostro vivere, discernere e persino il “nostro” Figlio di Dio. Cresce in noi, lungo la conversione, la preghiera del cieco dei Vangeli: «Fa che io veda», anche aprendo - con stupore - varchi non immaginati nel nostro cuore, che può inconsapevolmente circoscrivere lo stesso nuovo venire del Signore. Per esempio con un’attesa spiritualistica, che intuisce poco la possibilità di una grazia a misura, come una colomba, che rinnovi profondamente la vita, la cultura cristiana, la pastorale, a tutto campo. Si può accendere una grande speranza anche comunitaria nel sempre nuovo, a suo modo potente, donarsi di Dio.
Cristo viene anche attraverso l’universo. In mille modi, per esempio con le loro difficoltà davanti al mio annuncio, le persone mi possono segnalare che ho qualcosa da cogliere, in cui crescere. Maturo nell’imparare da ciascuno in tante sfumature, non in riduttivi concetti astratti. Ogni uomo che incontro in Cristo è, in vario modo, il dono di cui ho davvero bisogno. Ogni rapporto è personalissimo, vi entro sempre più, specie dal vivo: non vi sono risposte prefabbricate, riduttivi calcoli logici, la vita, anche quella mia e di chi ho davanti, va oltre. Cerco di entrare sempre più in sintonia, nello Spirito di Cristo, Dio e uomo.
Lo Spirito sereno, a misura, porta con delicatezza tutta la mia umanità, non una ragione astratta, non un’anima disincarnata, nel mistero. Tutta la mia umanità, la mia mentalità, viene continuamente rinnovata. Si aprono nuovi orizzonti a tutto campo. È uno Spirito, un Amore, desiderabile anche perché, così divino e così umano, scioglie sempre più i nodi del mio cuore, della mia psicologia, di tutto il mio essere.
Mentre in una spiritualità ancora variamente prefabbricata si potevano spesso vivere intuizioni innovative appunto spirituali, ora che tutta l’umanità dell’uomo può venire delicatamente, autenticamente, condotta nella vita potrebbe più facilmente accadere che un piccolo contribuisca a rinnovare, nell’essenza, tutta la cultura, anche la comprensione della dottrina. Accoglierlo non solo con amore totale ma anche pronti a sorprese spiazzanti. Una disposizione di questo genere è una grazia talora molto rara. Ed apre a possibilità infinite di rinnovamento. Infatti, in una mancata o in una riduttiva accoglienza si possono alimentare tanti schemi, paletti, non solo personali ma della mentalità, della cultura, correnti. E anche cause profonde del prevalere dei potenti, che in un modo o nell’altro molto si basano sul divide et impera. Sulla individualizzazione, la massificazione delle persone.
Dunque la scarsa accoglienza, l’accoglienza banalizzata, il poco dare spazio, possono essere aspetti che la conversione orienta in tanti casi a superare. Anzi la sete della luce come fonte di vita nuova ci può orientare ad una profonda ricerca, con le antenne tesissime. Anche imparo a non vivere necessariamente la diversità come conflitto ma sotto molti aspetti come ricchezza.
Questo cammino del cuore integrale nella luce serena, a misura, mi orienta ad accogliere tutta la persona, i suoi bisogni spirituali e umani. E la persona solo così si può più naturalmente sentire amata, capita, per davvero. Mi accorgo che la conversione non di rado mi fa superare artefatti riduzionismi in competenze, ruoli, burocrazie, che scindono in astrazioni la viva umanità dello specifico essere umano. Il razionalismo classifica, calcola, viviseziona; un più autentico discernimento cerca una sempre più profonda sintonia dal vivo.
L’intellettualismo dunque vive di fasulle certezze, di compiti prefabbricati, mentre il discernimento entra nei chiaroscuri del mistero spirituale e umano, saggiamente rischia. In questo cammino si può sviluppare il dono di un ascolto sempre più attento, profondo, integrale. Non solo razionalistico, non solo spiritualistico. Una consapevolezza del cuore, della coscienza spirituale e psicofisica cioè, che abilita a leggere sempre più profondamente nella vita anche dell’altro.
L’autentica comunicazione può avvenire maturando nello Spirito di Gesù, Dio e uomo. Dunque non cadendo per esempio nell’inganno di passare dalle astratte teorie ad un mero pragmatismo dell’incontro. Si cresce, si costruisce, insieme ma cercando gli adeguati tempi e modi dello Spirito e non con un riduttivo fare. Anche talora pericoloso perché l’uomo che opera il bene puntando su sé stesso costruisce la torre di Babele. Conta stare col cuore in Cristo, non il formalismo dell’agire.
Gesù ha chiamato a sé gli apostoli e solo gradualmente li ha poi anche inviati. Le risposte autentiche si maturano nella preghiera, nel tempo. Anche scoprendo sempre più approfonditamente, nel cammino stesso della Chiesa, le fonti, le vie, della grazia. La società attuale svuota talora di una ricerca personale e nello scambio, riduce tante cose ad astratti concetti, a risposte da tavolino, immediate. Tende dunque, tra l’altro, a negare la storia, il tempo. Mentre è in essi che si possono maturare le scelte adeguate alle situazioni reali. Nella pace dell’abbandono si maturano discernimenti di pace, che vengono dal cielo e dalla terra.
E il tempo è anche saggezza del precario, del limite. Scopriamo un Dio buono che cerca di darci il meglio possibile anche umanamente all’interno di uno sguardo integrale. Vi sono doni che mi piacerebbero da un lato ma che potrei scoprire con controindicazioni non indifferenti da un altro. Imparo a non confrontarmi con un astratto benessere dove tutto rientra nei miei schemi. Credo che il Signore vuole darmi ogni bene all’interno di ciò che non finirebbe per peggiorare la mia situazione. Non mi induce in inutili prove e comprende dunque il senso positivo delle mie preghiere. Chiudo allora gli occhi e mi abbandono al suo amore buono, molto più attento di me al mio benessere anche umano, materiale. Tendo dunque ad accontentarmi dei doni più “terreni” ricevuti accettando qualche limite, evitando il quale potrei però incontrare limiti peggiori e meno a misura della mia vita. E dirigo verso l’unico che può realmente darmela, Dio, la mia aspirazione alla felicità. Che così non finisco per seppellire sotto una montagna di delusioni e di frustrazioni.
Credo, intuisco, sempre più che Gesù ama molto più e molto meglio di me, anche della Chiesa, per cui vissutamente cerco il suo autentico, divino e umano, donarsi, discernere. Pronto a scoprire suoi atteggiamenti, suoi orientamenti, che erano lì da sempre ma che le risposte prefabbricate potevano contribuire ad impedire di vedere. Il suo amare, aiutare, senza limiti né condizioni, se non quello della discrezione, del delicato rispetto verso ciascuno. Ma tutto maturo nella Chiesa.
Questo amore autentico mi conduce ad essere discretamente vicino, con tutto il cuore, con ogni attenzione, ad ogni specifica persona. Ma in questa nostra difficile epoca mi insegna anche una delicata prudenza, in modo che a nessuna eventuale malignità, cattiveria, circa azioni indebite possa venir dato credito. E su questa scia imparo che l’assoluta povertà non solo può essere un grande dono ma anche un’altra grande protezione dall’accusatore. Non finisco di imparare da ogni uomo. Sono attento, prego, per il dono di un padre spirituale, anche cercandolo in ascolto del tempo. Imparo l’armonia dei contributi, delle risposte: non solo non vivo, non cresco, non agisco, senza Dio ma, in vario modo, neanche senza gli altri.