venerdì 23 marzo 2018

Enzo Bianchi: silenzio e solitudine

Il coraggio per intraprendere il “viaggio interiore” centrato sull’ascolto, cui ti invitavo in un'altra lettera, non ti manca, mi dici, ma fatichi a concentrarti su questo sforzo: troppe cose ti distraggono di continuo.
Hai colto un problema centrale! Rientrare in se stessi significa anche entrare nel silenzio e nella solitudine. Cosa tutt’altro che facile questa, abituati come siamo a vivere insieme immersi nel rumore e nel continuo contatto con gli altri. E tuttavia il silenzio e la solitudine sono essenziali, di chiarificazione, di concentrazione. Ti sarà forse capitato di sperimentare come il ritirarsi da solo nel silenzio porti a “ sentire” il corpo in maniera diversa, più lucida e intensa, e porti anche a una coscienza più acuta del tempo. Quel tempo che normalmente fugge e vola via quando sei immerso nel quotidiano via vai e nelle molteplici attività, appare molto più lungo quando resti nel silenzio e nella solitudine. Oggi, come sai bene, i ritmi della vita sociale sono talmente velocizzati e stressanti che ci ritroviamo a correre per arrivare sempre in ritardo: più siamo impegnati, più abbiamo attività da svolgere e “cose da fare” e più ci sembra di essere vivi. Ma così rischiamo di dimenticare quell’arte della cura di noi stessi e della nostra interiorità che è essenziale per sapere chi siamo e perché facciamo quel che facciamo. Un po’ di lentezza, di tempo speso stando seduto in camera senza far nulla, semplicemente restando presente a te stesso, lasciando emergere le emozioni che si sedimentano in te, ti aiuta a ritrovare unità, a dare il nome ai sentimenti che provi, a esercitare la tua memoria nel ricordo. Questo ti aiuta soprattutto a entrare in una pacificazione e unificazione interiori da cui uscirai rinnovato e disponibile per le relazioni quotidiane.
Solitudine e silenzio sono il tempo delle radici, della profondità, in cui ricevi la forza per essere te stesso, per pensare, per coniare una parola tua che magari può essere in contrasto con quelle che tutti ripetono. Silenzio e solitudine sono dunque i mezzi privilegiati della vita interiore, che ti consentono di prendere confidenza con te stesso e di osare te stesso, anche a costo di arrivare a “cantare fuori dal coro”, a rompere con le logiche omologanti che tutto appiattiscono. Ti consentono di sfuggire alla superficialità e di dare profondità alle parole e senso alla relazioni. La solitudine, infatti, purifica lo sguardo che porti sugli altri. Se pensi agli altri quando sei da solo, scopri in essi un volto inedito, che ti sfugge quando stai fisicamente accanto a loro. Non è affatto vero che comunichi bene chi parla molto o sempre e che sia una persona capace di relazioni quella che vive continuamente in mezzo agli altri, senza mai concedersi un momento si stregua, di faccia a faccia con se stessa. Questo sarebbe uno scambiare la quantità con la qualità. È vero, invece, il contrario: la capacità di comunicazione e di relazione è proporzionale alla capacità di silenzio e solitudine. Ci guidano, infatti, a quella vita interiore che ci consente una signoria su di noi.
Vorrei spronarti a questo paziente lavoro su te stesso ricordandoti una storiella chassidica. Si narra che rabbi Sussja in punto di morte esclamò: «Nel giorno del giudizio non mi si chiederà: perché non sei stato Mosè ? Mi si chiederà invece: perché non sei stato Sussja». Sì, non solo al momento del giudizio, ma anche nel quotidiano della tua vita, ti viene chiesto conto non se hai o meno eguagliato grandi personaggi, ma se sei stato fedele a quello che sei, se hai saputo riconoscere e condividere il meglio di te stesso. Cerca allora di conquistarti spazi di solitudine e tempi di silenzio, ne trarrai giovamento tu stesso e, assieme a te, anche quelli che ti stanno intorno