Don Alberto Brignoli, sacerdote fidei donum in Bolivia, collaboratore con Missio e con la CEI, attualmente parroco nella diocesi di Bergamo
Viviamo in una cultura che non conosce il concetto di sacrificio, o che comunque, pur conoscendolo, non lo accetta, non ne vuole sentire parlare. Sacrificare se stessi e la propria vita per un ideale, per uno scopo, oppure per fare in modo che altri beneficino del sacrificio è considerato qualcosa di anacronistico, di fuori dal tempo. Certo, non sono anacronistiche né fuori dal nostro tempo, purtroppo, le notizie relative a chi sacrifica la propria vita facendosi esplodere nel terminal di un aeroporto, nelle prossimità di uno stadio, all'interno di uno spazio musicale giovanile o nelle buie e intrappolate stazioni della metropolitana: ma è evidente che in quelle assurde e deliranti scelte di comportamento il sacrificio di sé assume una dimensione farneticante, disumana e diabolica, perché non è guidato dalla dimensione più bella che il sacrificio porta con sé, quella di generare amore nei confronti degli altri. Se il sacrificio di sé non ha come obiettivo il bene degli altri, l'amore per l'altro, è un sacrificio senza alcun senso, una sorta di suicidio consapevole e deliberato che non produce frutto se non quello di generare l'esatto contrario dell'amore, cioè la violenza, il terrore e la morte.
Quello che celebriamo oggi è, per noi cristiani, il Sacrificio per eccellenza: il sacrificio di Cristo sulla croce. Un sacrificio che storicamente per il popolo ebraico ricorda il sacrificio dell'Agnello Pasquale dell'Esodo, il cui sangue sul legno degli stipiti delle porte era figura, profezia del sangue che avrebbe imbevuto il legno della croce. Come, infatti, il sacrificio dell'Agnello sacrificato da Mosè e dal popolo la notte dell'uscita dall'Egitto evitò che l'Angelo della Morte colpisse le case degli ebrei, così il sangue dell'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo evitò che la Morte si impadronisse delle nostre vite per l'eternità. Un gesto d'amore, non c'è che dire; un gesto che ha generato vita. Anzi, possiamo dire che fu un gesto d'amore proprio perché ha generato vita, e - viceversa - che generò vita perché fu un gesto d'amore. Amore e vita coincidono: l'amore genera vita, la vita genera amore. Ma ciò che più colpisce (e che forse si coglie a fatica) è che, a partire da quel venerdì a Gerusalemme sul Calvario, questo avviene attraverso un Sacrificio, ovvero attraverso una morte di sé accettata e donata volontariamente. È un mistero che si coglie a fatica, dicevo, eppure non è poi così raro e infrequente come crediamo, né tanto meno anacronistico. Certo, fa meno notizia del sacrificio suicida di chi si fa esplodere per generare morte.
Ci costa, dire che un sacrificio di sé, anche se finalizzato a dare vita e amore, porta dentro una dimensione di bellezza, ancor più quando la Liturgia della Parola di oggi ci dice che "non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere". Ma la bellezza di un sacrificio non sta certo nella dimensione estetica con la quale riempiamo le pagine dei social network per farci vedere attraenti, atletici, accattivanti, seducenti e - dobbiamo riconoscerlo - sempre più vuoti dentro... La bellezza di un sacrificio sta nella bellezza del frutto che esso produce, e le pagine di storia della vita di ogni giorno ne sono piene, a volte senza neppure fare notizia.
E così, è bello il frutto del sacrificio di Sofia, morta a soli diciotto mesi per una passeggiata con la nonna finita tragicamente, ma rifiorita nel dono dei propri organi vitali, concessi dai genitori perché un'altra piccola creatura potesse tornare a vivere; è bello il frutto di quelle mamme (non poche, tra l'altro) che, malate di cancro in gravidanza, rifiutano di farsi curare, sacrificando la propria esistenza, pur di non mettere a repentaglio la vita che portano in grembo; è bello il frutto di un padre profugo che, naufrago su un barcone della disperazione, si sacrifica per tenere a galla il figlioletto di pochi mesi, finché giunga a salvo sulla riva.
Ma, molto più quotidianamente e ordinariamente vicino a noi, è bello il sacrificio di una madre che, rimasta sola per un matrimonio andato male, non fa calcoli di tempo ed energie, e lavora dentro e fuori casa pur di assicurare un futuro sereno ai figli rimasti con lei; è bello il sacrificio di un padre che si alza di buon mattino, quando è ancora buio ,per mettersi alla guida del suo camion o della sua auto e iniziare a macinare chilometri fino a sera inoltrata, per riuscire, con qualche ora di lavoro in più, a far quadrare il bilancio in famiglia e permettere così ai figli di concludere quell'università che lui non ha mai potuto fare; è bello il sacrificio di uno studente che non accetta di dover essere sempre di peso ai suoi genitori, e occupa le serate dei suoi giorni di studio lavando i piatti o servendo a tavola in un ristorante fino a notte inoltrata, rispetto a tanti suoi coetanei che rientrano anch'essi a notte fonda, sì, ma per motivi molto meno nobili; è bello il sacrificio di due nonni che, invece di godersi legittimamente la vecchiaia con qualche gita dopo una vita di duro lavoro, si mettono a servizio dei figli per aiutarli a gestire i nipoti piccoli, spesso non senza fatiche fisiche e morali.
È bello per noi sapere che ci sono sacrifici affrontati per amore, vissuti per un ideale, sopportati per far felici gli altri; ma credo sia ancor più bello per loro sapere che, loro malgrado e spesso a loro insaputa, stanno perpetuando lungo la storia il più grande dei sacrifici, quello di Dio per l'umanità. In loro, nelle loro semplici e umili vicende, spesso zittite da fatti di cronaca drammatici e violenti, si fa concreto, giorno dopo giorno, in ogni angolo della terra, il sacrificio di Cristo sulla croce; in loro, nella bellezza dei loro gesti, si realizza pure la Resurrezione.
Apriamo bene gli occhi, perché questi esempi vivono fuori dalla porta di casa nostra, e spesso nemmeno ce ne accorgiamo.
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.