martedì 5 febbraio 2019

Enzo Bianchi – L’esilio del vangelo dalle nostre chiese

Scrivendo questa riflessione all’interno del la rubrica “Dove va la Chiesa?”, ho la piena consapevolezza di pubblicare una forte denuncia sulla situazione della comunità dei cristiani nel nostro Paese. Stiamo, di fatto, vivendo e assistendo a una mutazione dell’essere cristiani; mutazione che dovrebbe inquietare molto quelli che “amano Gesù Cristo” e aderiscono al suo Vangelo. Tento, quindi, di individuare la causa di questa crisi e di leggere le gravi conseguenze che ne derivano.

Mi riferisco alla marginalità assunta, in questi ultimi anni, dalla liturgia all’interno della vita ecclesiale. Non mancano, certo, comunità nelle quali la liturgia è vissuta intensamente. Ma resta l’impressione che oggi, nella Chiesa italiana, la liturgia si trovi in un cono d’ombra rispetto a temi ecclesiali ritenuti centrali come la famiglia, i giovani, l’educazione, i poveri. E, più in generale, i temi morali e sociali. Anche l’approvazione della nuova edizione del Messale (in realtà, occorrerebbe parlare di una semplice revisione della traduzione dei testi), lo scorso novembre, da parte della Cei, è avvenuta in un clima di disinteresse e mancanza di attesa e di attenzione.

Cos’è successo? Perché questa stanchezza? Non è facile dare una risposta. Certamente, dopo l’entusiasmo per la riforma liturgica voluta dal concilio Vaticano II, s’è registrata una “battaglia liturgica” che non ha giovato, ma anzi ha stancato i credenti. Occorre, però, anche dire che è subentrata una grande diffidenza verso ogni rinnovamento liturgico. Al punto da impedire ogni legittima e autentica creatività, richiesta dalla riforma stessa. Oggi, la liturgia (peraltro ridotta alla sola celebrazione eucaristica), appare “ingessata” e poco curata. Quasi non meritasse l’impegno e le energie dedicate ad altre attività diaconali essenziali, ma generate e plasmate come evangeliche dalla liturgia stessa. I presbiteri non hanno molto tempo da dedicarvi. E i fedeli non la sentono più essenziale, non la ritengono più la fonte del loro agire quotidiano nel mondo. Va detto con franchezza: la sterilità della comunità cristiana nel produrre e adottare musiche e canti degni della liturgia cristiana, gli abusi praticati per rendere la liturgia mondanamente attraente e spettacolare, la sciatteria che non conosce l’ars celebrandi e la necessaria bellezza dei riti, rendono a volte la liturgia, non più Vangelo celebrato, ma un insieme di parole e gesti che non genera né fede, né speranza, né carità. E va riconosciuto: i tradizionalisti che denunciano, con asprezza e polemiche, introduzioni di stranezze nelle celebrazioni e nell’uso dello spazio liturgico sovente lo fanno con ragione.

Perché non si ha il coraggio di dire che alcune formulazioni liturgiche risultano ostiche e, ormai, incapaci di narrare il Dio di Gesù Cristo? E non è solo questione di linguaggio da adeguarsi e aggiornarsi, come nella traduzione del Padre nostro (con il «non ci indurre in tentazione» modificato in «non abbandonarci alla tentazione»), ma di orazioni e formule che, oggi, sono incapaci di far ardere il cuore di chi le ascolta o le ripete. Nella vita ecclesiale si registrano scollamenti e anche vere e proprie contraddizioni tra il linguaggio teologico-pastorale della catechesi, della predicazione con il linguaggio liturgico di testi che rispecchiano antichi modi, perlopiù medioevali, di sentire e vivere la relazione con Dio nella fede e nella preghiera.
Ma cosa si fa perché l’eucaristia domenicale sia qualcosa di vitale, di veramente comunitario, in grado di consentire il riconoscimento reciproco e una vera fraternità per quanti vi partecipano? Ascolto, silenzio, parola, canto, meditazione sono essenziali alla liturgia cristiana, ma occorre che questa sia anche segno di fraternità, gratuità, condivisione, antidoto alla solitudine e all’isolamento dominanti nella nostra società.

Se dunque manca questa centralità del Vangelo celebrato, se manca la fonte, che cosa ne deriva? Almeno due conseguenze. La prima è che la liturgia è sempre più evasa dalla maggior parte dei cristiani, specie i più giovani. Mentre “piccoli greggi” la vivranno in modo da sentirla solo come un patrimonio da conservare per la loro identità. Il bisogno postmoderno di conservare e commemorare spinge, purtroppo, a fare della liturgia del passato un “patrimonio immateriale” che va conservato.

Così si formano piccoli ghetti religiosi e liturgici, che si sentono custodi di un museo, non di una tradizione viva che, come una fonte, può dissetare gli uomini e le donne di oggi. Una liturgia che è valutata non tanto sulla sua capacità di far ardere il cuore, quanto sulla sua capacità di apparire solenne e religiosa, fornisce il senso di un’appartenenza sicura ma superficiale. Se la liturgia non è Vangelo celebrato, l’esistenza cristiana è ridotta a pratica rituale, che spinge a vivere senza un vero riferimento alla liturgia stessa, senza la sorgente della comunione con il Signore.

Ma c’è anche un’altra conseguenza. Se la liturgia diventa periferica nella vita del cristiano, allora quale spiritualità si può vivere senza questa fonte? Al riguardo, è significativo constatare che oggi i cristiani disertano le assemblee liturgiche ma tentano di vivere sempre di più “le spiritualità”, fabbricandosi itinerari “fai da te”. Ci stiamo accorgendo della deriva della spiritualità dei cristiani? Non è più la spiritualità che si nutriva alle fonti delle Sacre Scritture o dei padri della Chiesa, ma una spiritualità teista, con un riferimento al divino, non al Dio di Gesù Cristo. Una spiritualità concepita come etica terapeutica, tesa al benessere personale, allo stare bene con sé stessi e con gli altri nel quotidiano. Una spiritualità che dà conforto, ma non sta più sotto il primato della grazia e della salvezza che solo Dio può dare. È una spiritualità in cui si ripetono le beatitudini proclamate da Gesù, declinandole però solo a istanza morale, non come Vangelo, buona notizia…

Ecco, il venir meno della qualità “fontale” della liturgia nella vita dei cristiani provocherà debolezza della fede per molti. E fagociterà appartenenze culturali per altri. Crescerà il numero dei “cattolici del campanile”. Cattolici senza vera appartenenza alla Chiesa eucaristica, anestetizzati nei confronti del Vangelo. E, sempre di più, altri percorreranno sentieri di spiritualità che ispirano l’autosalvezza, senza il primato della grazia e senza la dimensione escatologica.

In queste due possibili derive si potrebbero comprendere le denunce che papa Francesco ripete contro il pelagianesimo e lo gnosticismo, oggi riapparsi in nuove forme inedite, ma sempre ispirate dal rifiuto del primato del Vangelo e del mistero eucaristico, memoriale della vita, della morte, della risurrezione e della venuta gloriosa di Cristo, il Signore. Perciò, occorre più che mai una comunità cristiana che nella liturgia non permette l’esilio del Vangelo dalla vita ecclesiale.

Articolo pubblicato sulla rivista Vita Pastorale – Rubrica “Dove va la chiesa” – Febbraio 2019