Antonio Spadaro sabato 20 giugno 2020
Seguendo le strade indicate da sant’Ignazio di Loyola, Francesco prima di diventare Papa aveva steso alcune riflessioni su come liberarsi di reti e catene
Esce in questi giorni dalle edizioni Solferino il libro di papa Francesco Cambiamo! (pagine 352, euro 17). Il volume riprende un precedente testo che il Pontefice scrisse quando ancora insegnava all’Università dei Gesuiti in Argentina nel 1987. È un invito alla ricerca e a vivere un’inquietudine che ci libera dall’ipocrisia e dalla schiavitù del peccato. Anticipiamo alcuni brani della prefazione scritta per questa edizione da Antonio Spadaro.
«Questo è il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrici. Lo Spirito, che non si lascia rinchiudere né strumentalizzare con schemi, modalità e strutture fisse o caduche, ci propone di unirci al suo movi– mento capace di “fare nuove tutte le cose” (Ap 21, 5)». C’è un’ansia di cambiamento nel mondo che papa Francesco ha raccolto in questo appello dalle pagine del settimanale spagnolo “Vida Nueva”. E l’ha rilanciato più volte in tempo di pandemia da Covid–19. La vita di milioni di persone è cambiata all’improvviso: «Saremo disposti a cambiare gli stili di vita?» aggiungeva. È chiaro che c’è un enorme bisogno di capire che cosa ci sta accadendo, di dare una lettura umana e spirituale di quel che viviamo. Ed è chiaro che dobbiamo anche com– prendere che cosa abbiamo sbagliato: il Papa ha parlato di un pianeta gravemente malato, di ingiustizie planetarie per un’economia che punta solo al profitto, di conflitti internazionali che sono oggi da far cessare subito, e così embarghi ed egoismi nazionali. La pandemia ha smascherato la nostra vulnerabilità e ha lasciato «scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità», Francesco ha detto facendo risuonare queste parole in una piazza San Pietro vuota per il lockdown e dunque mai così piena di tanta gente che nel mondo ha ascoltato il suo messaggio di benedizione il 27 marzo 2020. «Cambiamo!» sembra essere il suo appello. E tante volte l’appello al cambiamento risuona in queste pagine. Facciamo dunque un salto indietro, a quando Francesco era un gesuita, responsabile dei suoi confratelli in Argentina, per trovare le radici di questa volontà di cambiamento. A volte la nostra vita rischia di essere «una specie di aquilone senza cielo. Ci riveliamo esseri piccini, intenti in piccinerie che ci rimpiccioliscono». Oppure può essere anche «un aquilone al quale il cielo abbonda, ma gli manca il filo: inevitabilmente si perde nell’oscurità dello sforzo sprecato », dunque un aquilone «pieno di cielo» ma senza filo, perché è vanità di grandi idee e progetti inconcludenti.
Così scriveva l’allora padre Jorge Mario Bergoglio. Il volume nel quale il Papa aveva maturato queste considerazioni è stato pubblicato nel 1987 e ha per titolo Reflexiones espirituales sobre la vida apostólica, qui presentato nella sua versione integrale. Esso accoglie articoli che aveva scritto nel corso della sua attività di rettore del Colegio Máximo e delle sue Facoltà di Filosofia e Teologia tra il 1980 e il 1986, anno nel quale fu rimosso dal suo incarico e inviato in Germania per proseguire gli studi teologici e successivamente inviato come confessore a Córdoba. Questo, appunto, fu un tempo di prova, di purificazione e di una certa oscurità interiore. Ricordiamo pure che cinque anni dopo la pubblicazione di questa raccolta Bergoglio veniva nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires. Per comprendere un uomo bisogna andare alle radici della sua formazione, ma anche indagare i turning points, i momenti di crisi e di svolta. Ecco perché questo libro è importante per capire papa Francesco: è espressione di un tempo di passaggio, nel quale ha maturato capacità di discernimento e di scelta. Seguendo il ritmo delle pagine si entra nello sguardo del Pontefice e si comprende meglio il suo modo di giudicare le situazioni e di agire. Bergoglio, in tempo di crisi, ritiene fondamentale non chiudersi nelle piccinerie, nella dimensione angusta del timore e della preoccupazione, ma aprirsi a un desiderio di Dio che allarga il cuore. L’ansia per lui è una combinazione di ira e pigrizia. Col tempo ha imparato a non esserne soggetto. In questo contesto egli torna a meditare sulle radici. Potremmo dire anche sul senso stesso della vita. «Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende se stessa, che arriva a essere feconda.» Bergoglio, superando ogni vuoto vitalismo, ritiene che anche la vita stessa, se funzionale solamente a sé, non ha un significato positivo. Lo acquista se diventa feconda, altrimenti è una noiosa e sfiancante catena di gesti egoistici che ci soffoca nell’apatia. Che cosa ci apre, ci «stappa» dall’interno? Il desiderio. Il desiderio è la forza interiore che spalanca al senso della vita. Bergoglio ne parla nella prima ( Veracità e conversione) e nella seconda parte ( A proposito del magis) del suo volume. Più volte ha fatto comprendere che il desiderio è per lui un tema centrale. L’ha ribadito in varie occasioni da Pontefice sin dall’inizio. In particolare, in due omelie: una al Capitolo Generale degli Agostiniani, il 28 agosto 2013; e l’altra alla Chiesa del Gesù, il 3 gennaio 2014 per la celebrazione del SS. Nome di Gesù, per commemorare la canonizzazione di san Pietro Favre. Nella prima ha domandato ripetutamente: «Hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose? Il tuo cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’hai lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo?». E ha concluso: «Senza desideri l’uomo è incomprensibile».
Nella seconda omelia, ai suoi compagni gesuiti, ha affermato: «Perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere davanti a Dio. Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita». Pietro Favre, che papa Francesco ha canonizzato, è un uomo di grandi desideri che si è fatto carico di essi e li ha riconosciuti. Per Bergoglio i «desideri allargano il cuore» e in essi «si può discernere la voce di Dio»: «Senza desideri non si va da nessuna parte, ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore». La visione di Bergoglio è quella di sant’Ignazio di Loyola così come emerge negli Esercizi Spirituali e nella stessa biografia del fundador. Ignazio era un uomo che nella sua Autobiografia, dettata a un confratello in terza persona, confessò di essere «attratto da un immenso desiderio»: prima di vanità e di onori, poi di una donna, poi di «imprese difficili e grandi» sul piano spirituale. Ignazio si definisce addirittura embebido, cioè «imbevuto» di desideri. Negli Esercizi, il termine desiderio, è spesso unito al verbo querer, cioè «chiedere intensamente». Perché è importante il desiderio per Bergoglio, gesuita formatosi alla scuola degli Esercizi e del desiderio ignaziano? È importante perché in realtà Dio stesso è un Deus desiderans, è un Dio che desidera comunicarsi, e lo fa suscitando nel nostro cuore desideri. Il mondo di Bergoglio è mosso, agitato, dinamico. La pace di Dio che sorpassa ogni desiderio, di cui parla san Paolo ai Filippesi, non è una sorta di condizione di stasi interiore, ma è un dono che si fonda e culmina in una forte inquietudine generativa e aperta. Così Bergoglio sintetizza in un paragrafo di grande intensità: «I nostri desideri possono risultare illusioni, ma anche rivelazioni. Rivelazioni su quanto Dio vuole che gli chiediamo perché ce l’ha già concesso. Allora il contenuto dei nostri desideri si trasforma in simboli. I nostri desideri forgiano simboli, perché i simboli, così come i desideri, celano realtà mentre al tempo stesso le promettono». Dio, secondo Ignazio, opera con i desideri e nei desideri e, oltre a conservare i desideri, anche li aumenta. Questo però non significa che Dio realizzi precisamente quello che noi desideriamo, ma «quello per cui Dio ha posto questo desiderio».
Qui per Bergoglio sta la differenza tra una utopia senza discernimento e una utopia come forza vitale e apertura al futuro a partire dal reale, da ciò che si è. Il Papa parla spesso di «utopia» (cfr. Evangelii gaudium, n. 222) in senso positivo, perché non ideologico, e sempre a partire dalla storia e dalla memoria. La sua utopia è apertura al nuovo che si contrappone direttamente al banale e superficiale tatticismo. Il desiderio non può essere risolto in tattiche. La creatività deve essere imbevuta di desideri per trovare i mezzi più efficaci all’impegno. La stessa preghiera non può che partire dal nostro desiderio. E Bergoglio è erede della tradizione ignaziana anche nel postulare il «desiderio di desiderare » ( Costituzioni della Compagnia di Gesù, n. 102). Infatti non sempre, a causa della nostra debolezza e fragilità, possediamo il vero desiderio di Dio, il desiderio di lasciar crescere il seme della parola di Dio sul campo della nostra vita. Spesso lasciamo crescere erbacce e spine. E tuttavia è importante anche il desiderio di desiderarlo. Come si capisce, il desiderio è la molla che apre la nostra esistenza e si modula nella «medietà » di ogni vita. Bergoglio non parla mai di un desiderio eroico e sublime, distante dal quotidiano scorrere dei giorni. Si fonda sul riconoscimento semplice del nostro essere creature, che è il «principio e fondamento» della vita spirituale.
E così ha avvio il percorso della ricerca della nostra verità al cospetto di Dio. Ma anche il percorso nel quale cerchiamo la verità di Dio su di noi. Bergoglio è molto attento a ribadire il fatto che il cammino spirituale non è mai il viaggio in un «altrove », e non ha nulla a che fare con una pseudo– mistica che «promuove favole inventate dai nostri cuori ansiosi e non purificati. Il vero cammino interiore implica il “farsi carico” della nostra età, delle nostre povertà, della storia che ci appartiene». Dunque Reflexiones è un invito alla ricerca, al cammino, al vivere una inquietudine che ci libera dalle «reti e catene» – come scrive sant’Ignazio – dell’ipocrisia e del peccato.