sabato 18 maggio 2019

Avvenire: Dopo il Sinodo. Fiducia, ascolto, accoglienza: è la Chiesa a misura di giovani


Da un grande processo partecipativo, quale il Sinodo sui giovani è stato, si generano naturalmente molte aspettative. Sia nei partecipanti sia in chi ha particolarmente a cuore le nuove generazioni risorge la prima domanda, quella che Pietro e gli altri apostoli si sentirono porre già a Pentecoste: «Che cosa dobbiamo fare?» (At 2,37). Se il tema dei lavori, prima ancora del «discernimento vocazionale », riguardava i giovani e la fede tout-court, allora è legittimo aspettarsi un esito del Sinodo che riguardi la fede stessa. In effetti, nell’esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit tra le linee di azione emerge la ricerca di vie nuove sia per l’evangelizzazione sia per il consolidamento di chi già ha iniziato a credere. Questo avviene nella consapevolezza, mai tanto esplicita in un documento magisteriale, che «una Chiesa sulla difensiva, che dimentica l’umiltà, che smette di ascoltare, che non si lascia mettere in discussione, perde la giovinezza e si trasforma in un museo» (n.41).

Al Sinodo si è riconosciuto – e papa Francesco cita continuamente il documento finale approvato dall’assemblea – che «un numero consistente di giovani, per le ragioni più diverse, non chiedono nulla alla Chiesa perché non la ritengono significativa per la loro esistenza. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, poiché sentono la sua presenza come fastidiosa e perfino irritante. Tale richiesta [...] affonda le radici anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani; la scarsa cura nella preparazione dell’omelia e nella presentazione della Parola di Dio; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società contemporanea » (n.40). Si tratta di affermazioni cariche di responsabilità, che non hanno impedito uno sguardo in avanti. A tratteggiare il futuro è l’icona neotestamentaria dei discepoli di Emmaus: camminare con i giovani, fare la strada con loro anche se vanno in direzione sbagliata, suscitare domande, interrogarli, ascoltarli, e quindi annunciare. Cosa? I tre punti fondamentali che ci vengono ricordati dall'esortazione sono: Dio è amore, Cristo ci salva, ed è vivo, è qui in mezzo a noi. «Questo è una garanzia che il bene può farsi strada nella nostra vita, e che le nostre fatiche serviranno a qualcosa» (n.127). Papa Francesco educa la Chiesa a un nuovo rapporto col mondo contemporaneo. Essa non ne costituisce più il centro, né un credito di fiducia le è ormai dovuto, eppure ha un mistero vivo da condividere e personalità convincenti da giocare. È interessante che i giovani credenti siano riconosciuti non solo titolati ad annunciare la fede ma pionieri della missione tra i coetanei. Occorre ammetterlo: non è abitudine europea una missione in cui i laici, e nello specifico i giovani, vengano prima del clero nella condivisione del kerygma pasquale. Il Sinodo è però, in questo, chiarissimo: si tratta di una provocazione inaggirabile, su cui osare una storica verifica delle consuetudini pastorali. Il Papa indica a vescovi e preti la possibilità di intervenire solo dopo che il nucleo del Vangelo sia già stato trasmesso nell’a tu per tu dell’amicizia fra laici.

Ciò interroga, certo, sulla preparazione dei credenti e sulla coscienza missionaria di chi pure è ricco di esperienza ecclesiale, tuttavia apre gli occhi su un passaparola che tra giovani già esiste e che non ha avuto fin qui dignità pastorale. Elena, ad esempio, ha diciassette anni, da tre frequenta l’oratorio: coinvolta da alcune coetanee come animatrice, invitata da altri giovani alla catechesi, avanzando nel cammino di gruppo ha scoperto il sacramento della Riconciliazione. Dopo averlo celebrato più volte, esprime la sua gioia per la Chiesa che sta scoprendo e confida di cercare ormai da sola la liturgia domenicale anche in periodi di vacanza con la famiglia. Racconta di esser stata battezzata, ma poi di non aver ricevuto né Cresima, né prima Comunione. Si dimostra stupefatta alla proposta di celebrare questi sacramenti, pur essendo superata l’infanzia. Nel frattempo cresce la sua disponibilità al servizio dei più piccoli; coinvolge nella vita parrocchiale altre amiche; trova il coraggio di chiedere aiuto per gravi difficoltà economiche che travagliano la famiglia. Una storia semplice, del tutto ordinaria, ma in grado di interrogare e trasformare chi si è trovato ad accoglierla. Come scrive papa Francesco, «essere giovani, più che un’età, è uno stato del cuore. Quindi, un’istituzione antica come la Chiesa può rinnovarsi e tornare a essere giovane in diverse fasi della sua lunghissima storia. In realtà, nei suoi momenti più tragici, sente la chiamata a tornare all’essenziale del primo amore» (n.34).

Certo, diventare cristiani richiede, oltre il momento del primo annuncio, un consolidamento nella fraternità: la pastorale giovanile – leggiamo nell’esortazione – è sinodale, «vale a dire capace di dar forma a un 'camminare insieme'» (n.206), dove nessuno deve essere messo o mettersi in disparte e la fede possa maturare. Il Papa precisa che tale crescita non va confusa con un indottrinamento: occorre tenere a bada «l’ansia di trasmettere una gran quantità di contenuti dottrinali e, soprattutto, cerchiamo di suscitare e radicare le grandi esperienze che sostengono la vita cristiana» (n.212). Piuttosto – ed è uno dei passaggi chiave circa il da farsi – «creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi. È creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani e che tutti possiamo compiere » (n.217). Anche al Sinodo tale approccio si è rivelato fecondo: a margine dei lavo- ri, ad esempio, le religiose hanno iniziato con i giovani a condividere la mensa. Ed ecco moltiplicarsi incontri, storie, racconti: Safa, dall’Irak, che si rivolse a Dio per la prima volta quando venne rapito e rischiò di essere ucciso; Oksana, che in Russia appartiene a una Chiesa che è minoranza; Yadira, che a Chicago aiuta le ragazze madri immigrate negli Usa. La loro vita è spazio di salvezza, la loro fede un appello alla conversione; incontrarli è stato entrare in uno spazio sacro e fare esperienza di Dio. Questi giovani hanno dato un contributo decisivo ai lavori sinodali: la loro presenza è stata fondamentale. Hanno fatto sentire la loro voce e chiedono agli adulti di avere tempo, di esserci, di stare con loro in maniera informale; desiderano persone che li ascoltino, non organizzatori impegnati sempre in altro. Non vogliono risposte: sanno bene di doverle cercare nella Parola e dentro di loro. Ci chiedono di aiutarli a fare emergere le domande, a dare un nome alle inquietudini e a fare un tratto di strada con loro.

Per questo tipo di accompagnamento papa Francesco propone un preciso modello di pastorale giovanile: «Fare casa in definitiva è fare famiglia; è imparare a sentirsi uniti agli altri al di là di vincoli utilitaristici o funzionali, uniti in modo da sentire la vita un po’ più umana» (n.217). Non un nido né una fuga, ma tra giovani ed educatori il luogo franco in cui non dissimulare la propria fragilità, guadagnandovi il coraggio delle decisioni. La giovinezza, infatti, «non può restare un tempo sospeso: essa è l’età delle scelte e proprio in questo consiste il suo fascino e il suo compito più grande» (n.68). Francesco può permettersi di essere molto diretto: «Tu devi scoprire chi sei e sviluppare il tuo modo personale di essere santo, indipendentemente da ciò che dicono e pensano gli altri. Diventare santo vuol dire diventare più pienamente te stesso, quello che Dio ha voluto sognare e creare, non una fotocopia. La tua vita dev’essere uno stimolo profetico, che sia d’ispirazione ad altri, che lasci un’impronta in questo mondo, quell’impronta unica che solo tu potrai lasciare. Invece, se copi, priverai questa terra, e anche il cielo, di ciò che nessun altro potrà offrire al tuo posto » (n.162). Per un’esperienza cristiana di questo tenore occorre una Chiesa diversa dalla gloriosa istituzione che per secoli ha presidiato la socialità. Una madre che accolga, riaccolga e ai suoi figli metta le ali, infondendo libertà e fiducia.
Alessandra Smerilli e Sergio Massironi venerdì 17 maggio 2019