«La vita cristiana è un combattimento permanente», ricorda Francesco (Gaudete
et exsultate 158). «Combattimento» sì, ma contro chi? Con acuminata
precisione, il Papa scansa equivoci e diffuse riduzioni. Infatti, non si tratta
solamente di contrastare la «mentalità mondana», la «pigrizia», la
«mediocrità»; nemmeno la «fragilità» e le personali inclinazioni verso un certo
tipo di vizio. Certo, anche questo. Tuttavia, innanzitutto, il combattimento è
«contro il diavolo, che è il principe del male» (Gaudete et exsultate
159). Lo scorso 6 marzo, Andrea Monda scriveva sulle pagine dell’«Osservatore
Romano» una «guida diabolica al pontificato di Papa Francesco», rilevando la
frequenza con cui Bergoglio parla del diavolo apertamente, anche ai bambini.
Qualsiasi sia il suo interlocutore, Francesco descrive il principe del male non
come «una deficienza» umana, ma (direbbe Paolo VI) «un’efficienza, un essere
vivo, spirituale, pervertito e pervertitore».
Parlando del diavolo, oggi si coglie non poco disagio. L’imbarazzo vibra sia
in chi liquida la questione come un’inerzia del passato, indegna delle
conoscenze e della sensibilità contemporanee, sia in chi al contrario ne parla
con eccessiva facilità, presumendo di sapere tutto, perfino il più puntiglioso
(e inutile) dettaglio.
Converrebbe assumere il criterio adottato dal Nuovo Testamento. Il numero e
la varietà dei modi neotestamentari di definire il diavolo mostrano fino a che
punto questa realtà oscura occupasse l’attenzione dei primi credenti. Sorprende
un dato evidente: il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento è contrassegnato
anche dalla formidabile crescita della manifestazione demoniaca, non
paragonabile a quella delle Scritture Antiche; come se, all’arrivo del Figlio
di Dio nella carne, il diavolo ne fosse spaventosamente disturbato, anzi
«tormentato» (Marco 5, 7), spinto ad agire con «furore», perché gli
«resta poco tempo» (Apocalisse 12, 12). Tuttavia l’interesse del Nuovo
Testamento alla realtà demoniaca è ben diverso da quello del giudaismo
dell’epoca di Gesù e della religione popolare ellenistica; infatti è molto più
discreto, riservato e non ha alcun intento teorico o speculativo, poiché mosso
solo dall’istinto di protezione e difesa.
Una cosa è certa: annunciare Cristo prescindendo dalla sua opera di
esorcista, trascurando la sua lotta contro il Satana, significa parlare di un
Gesù diverso da quello dei Vangeli e comporta strappare molte pagine al Nuovo
Testamento. Gli esorcismi operati dal Signore sono troppi e troppo rilevanti
nell’economia del racconto evangelico per non essere necessari alla rivelazione
del mistero di Cristo, dell’uomo e della storia. Non per nulla, stando
all’evangelista Marco, la prima azione di Gesù, rivelativa del Regno di Dio, è
proprio la liberazione di un indemoniato (Marco 1,21-28).
Il racconto è all’inizio del Vangelo, come ne rappresentasse il portale
d’ingresso. Il Figlio di Dio non arriva in un territorio libero o neutrale, ma
in uno spazio occupato dal diavolo. La sua presenza è a tal punto diffusa da
non essere percepita: un uomo religioso, praticante, si trova nella sinagoga;
egli è invaso da «uno spirito impuro» e non se ne accorge; tantomeno gli altri,
riuniti in preghiera. La prima manifestazione della potenza irresistibile e
benefica di Gesù è la liberazione di quel pover’uomo dallo «spirito impuro».
«Spirito impuro». Che significa? La parola «spirito» richiama l’aria, il
vento, il respiro. Come l’aria, è ovunque, invisibile; perciò la sua presenza
cade in oblio. Tutti e tutte le cose ne sono esposti. L’aria/spirito viene
dimenticata non per difetto, ma per eccesso di presenza. Come il vento,
s’insinua dappertutto, infiltrandosi nei più piccoli interstizi e profittando
delle aperture, quelle imprudenti e quelle necessarie. Avendo a che fare col
respiro, la prima qualità dello «spirito impuro» è di apparire necessario,
indispensabile, desiderabile, gradevole, benefico, salutare come l’aria. Lo
cerchiamo come se ci mancasse l’aria e come l’aria auspichiamo il suo ingresso
in ogni fibra del nostro corpo. Lo spirito impuro esercita la potenza tipica di
chi è desiderato, anelato, bramato, ritenuto vitale come l’aria. Il suo
capolavoro è quello di scimmiottare lo Spirito Santo, il Signore che dà la
vita. E gli riesce benissimo; al punto che è facile confondere l’ampio respiro
dello Spirito Santo con uno spirito impuro e, al contrario, apprezzare
l’“in-spirazione” dello spirito impuro come fosse Spirito Santo. Ma è alito
impuro, cioè aria cattiva, viziata e malsana che, respirata a pieni polmoni,
avvelena la vita e intossica ogni intenzione. Ecco: spalanchiamo i polmoni ad
aria inquinata, convinti che sia fresca e pulita come quella del mare o di montagna.
Ma perché lo spirito impuro ce l’ha con noi? La risposta può venire
dall’altro nome che lo identifica e col quale è chiamato quando, nel deserto,
attacca Gesù: «Satana», cioè «accusatore»; «l’accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusa davanti al nostro Dio giorno e notte» (Apocalisse
12,10). Questa denominazione del diavolo mostra un aspetto poco pensato: il suo
vero bersaglio non è l’uomo, ma Dio. Avvelenando le intenzioni e intossicando i
desideri, egli punta ad ottenere capi di accusa contro l’uomo, da portare
davanti a Dio. Come se il suo scopo fosse addurre prove dell’infame,
vergognosa, omicida ingiustizia degli uomini, al fine di convincere Dio circa
l’insensatezza, l’assurdità della sua incomprensibile premura verso questi
grumi di terra che respira. Il vero tentato dal Satana non è l’uomo, ma Dio che
dovrebbe smetterla di stimare esseri così spregevoli. In questo senso il Satana
è diavolo, vale a dire divisore: cerca di separare Dio dalla terra e dalla
carne. Siamo franchi, il lavoro gli riesce benissimo e non ha nemmeno torto. Il
Satana ammira la bellezza di Dio, ne è incantato, ma la sua venerazione si
trasforma in incantesimo che lo rende indisponibile ad accettare il
coinvolgimento di tale splendore nell’ingiustizia, il legame di quell’indescrivibile
grazia con l’opaca pesantezza del portamento umano. Satana è l’estremo
difensore di Dio, come Pietro lo fu di Cristo, tentando di convincerlo ad
evitare la sconfitta della croce. Non per nulla l’apostolo in quell’occasione
ricevette dal Maestro lo spaventoso appellativo di «Satana» (Marco
8,33). Devono essere ben potenti le forze divine — la fede, la speranza, la
carità — per opporsi alle argomentate, sensate, vere accuse del Satana. Il
nostro destino è sospeso a esse: alla resistenza della sua fiducia, all’energia
della sua incomprensibile attesa, alla possanza della sua indecifrabile stima.
Nonostante sia intossicato e destinato alla morte, malgrado i suoi gesti
avvelenati, Cristo non smette di ammirare l’uomo e fa di tutto per soffiare
aria buona nei suoi polmoni, come all’inizio.
09/04/2019
di Giovanni Cesare Pagazzi