sabato 9 febbraio 2019

Alberto Maggi "Cristiani (e) cretini"

Purtroppo, riflette su ilLibraio Alberto Maggi, "l’insegnamento di Gesù di fronte alla violenza subita (Mt 5,38-42) fu spesso interpretato come un invito alla rassegnazione, alla sopportazione, a tollerare ingiustizie e soprusi, a tacere e subire il male, a chinare sempre il capo, ad accettare 'per amor di Dio' ogni angheria e prepotenza. E ben presto il cristiano, sempre remissivo, mite, sottomesso, fu equiparato al cretino, come dimostra l’etimologia del vocabolo, che deriva dal franco provenzale crétin (fr. chrétien) ovvero cristiano...". Come spiega il biblista nel suo intervento, Gesù "ha proclamato certamente beati i buoni, ma non i tonti..."

Ripetutamente Gesù, nel suo insegnamento, invita a essere buoni e a fare il bene. Il comportamento benevolo del credente è la risposta ai bisogni dell’altro e non ai suoi meriti (c 6,32-36). In questa comunicazione d’amore Gesù chiede di essere “perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). La pienezza alla quale Gesù invita non è tanto un’astratta quanto irraggiungibile perfezione di Dio, ma si riferisce al comportamento del Padre nei confronti degli uomini, che è quello di un amore incondizionato, totale. Mentre la tradizione religiosa credeva che la pioggia non scendesse sui peccatori (Am 4,7), Gesù mostra un Padre che non lascia condizionare il suo amore dal comportamento degli uomini, ma a tutti, ugualmente, comunica un amore che, come l’azione della pioggia e del sole, feconda e produce vita (“Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”, Mt 5,44-45). Questa richiesta di Gesù era mirata a far raggiungere al credente la piena realizzazione della propria persona, che si attua soltanto attraverso l’amore. Per questo Gesù ha chiesto di superare la vendicativa legge del taglione (“Occhio per occhio e dente per dente”, Es 21,24): “se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Mt 5,38), spronando il credente a introdurre nella società un comportamento umano completamente nuovo, per disinnescare ogni letale virus di violenza.

Per Gesù è chi colpisce che perde la sua dignità umana, e non colui che viene colpito. Non rispondendo alla violenza, la persona schiaffeggiata dimostra che la sua dignità e la sua libertà non sono stati minimamente scalfiti dalla rozza aggressione che ha subito. Gesù non invita a un vittimista atteggiamento passivo, ma attivo, all’affermazione della propria dignità, come ha fatto lui stesso quando, dopo aver risposto al sommo sacerdote, una delle guardie presenti gli diede uno schiaffo dicendo: “Così rispondi al sommo sacerdote?” (Gv 18,23). Alla violenza ricevuta, Gesù non risponde offrendo l’altra guancia, bensì invitando la guardia a provare di ragionare con la propria testa (“Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”, Gv 18,23). Gesù, sollecitando la guardia a ragionare, cerca di fargli recuperare la sua autonomia di pensiero e con questa la sua umanità. Ma la guardia non risponde. È un servo ossequente, non un individuo in grado di pensare, è capace di violenza, non di parole. E gli schiaffi ricevuti da Gesù sono espressione di violenza propria dei servi (Mc 14,65), delle guardie e dei soldati (Gv 18,22;19,3), ovvero persone che non sono libere ma sottomesse e che si identificano con il potente che pur li opprime.

Purtroppo l’insegnamento di Gesù di fronte alla violenza subita (Mt 5,38-42) fu spesso interpretato come un invito alla rassegnazione, alla sopportazione, a tollerare ingiustizie e soprusi, a tacere e subire il male, a chinare sempre il capo, ad accettare “per amor di Dio” ogni angheria e prepotenza. E ben presto il cristiano, sempre remissivo, mite, sottomesso, fu equiparato al cretino, come dimostra l’etimologia del vocabolo, che deriva dal franco provenzale crétin (fr. chrétien) ovvero cristiano.

Gesù ha proclamato certamente beati i buoni, ma non i tonti. Anzi il credente è chiamato a essere il primo a denunciare ogni ingiustizia e ogni sopruso, e se non lo fa ne diventa complice. Seguire l’insegnamento del Cristo non significa essere neutrali o lavarsi le mani, ma partecipare e agire attivamente, come lo stesso Gesù insegna e agisce. Sempre dalla parte degli oppressi e mai da quella di chi opprime, Gesù ha denunciato il comportamento dei potenti con parole di fuoco. Il Cristo, che è veritiero perché non ha soggezione di alcuno e non guarda in faccia a nessuno (Mc 12,14), non conosce il felpato linguaggio diplomatico, né le prudenze del quieto vivere, ma si scaglia contro i suoi avversari con inusuale violenza verbale, senza andare troppo per il sottile. Basta leggere le tremende invettive contro scribi e farisei, che definisce ipocriti, guide cieche, stolti, sepolcri imbiancati, pieni di ipocrisia e di iniquità, serpenti, razza di vipere, assassini… (Mt 23,1-36). Le stesse invettive Gesù le rivolge anche a quei farisei, che pur lo avevano invitato a un pranzo: “Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo” (Lc 11,43-44), e quando un dottore della Legge si mostra risentito per le sue parole, Gesù non solo non chiede scusa, non arretra, ma accusa anche loro: “Guai anche a voi, dottori della Legge…” (Lc 11,46). Gesù arriva a definire i capi religiosi figli del diavolo, bugiardi e assassini (“Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità”, Gv 8,44).

Le tremende invettive di Gesù non sono solo per i rappresentanti di un’istituzione religiosa che, per mantenere il proprio potere e i propri privilegi, gli è ostile e ne vuole la morte, ma anche per i suoi seguaci, che Gesù non esita a definire increduli, di poca fede (Mt 8,26), stolti e tardi di cuore (Lc 24,25), fino a perdere la pazienza e sbottare: “O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?” (Mt 17,17). È illusorio pensare che la proclamazione della buona notizia di Gesù si realizzi senza conflitti, con atteggiamenti buonisti, ma è causa di dissidio (“Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”, Mt 10,35-36).

Gesù mette anche in guardia “dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!” (Mt 7,15) e, senza tanti giri di parole, non esita a respingere da sé, e definire maledetti, degni del fuoco eterno, anche chi non risponde ai bisogni essenziali della vita, dal cibo all’ospitalità di quanti li necessitano (“perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”, Mt 25,41-46).

Nel Discorso della Montagna, Gesù ha proclamato beati e figli di Dio i “costruttori di pace” (Mt 5,9). La beatitu­dine non riguarda il carattere di quanti sono alie­ni da ogni tipo di contesa, i pacifi­ci , ma l’attività di chi abitualmente lavora per la pace. Mentre i pacifici, per la pro­pria tranquillità, evitano accuratamente ogni situa­zione di conflit­to, i costruttori di pace, per la pace altrui, sono disposti a perdere la pro­pria (cf Gv 15,13). Questo impegno li conduce, infatti inevitabilmente, non solo a denunciare tutte le situazioni di ingiustizia che impedisco­no la pace, ma, con il proprio comportamento, a essere una denuncia visibile per la società. Il rifiuto di ogni forma di potere e di ricchezza, che è alla base dell’ingiustizia tra gli uomini, attirerà verso i veri seguaci del Cristo l’ostilità di quanti si vedono smascherati dalla loro rettitudine (cf Sap 2,12‑15), ma la persecuzione si trasformerà in beatitudine, perché Dio sta sempre dalla parte dei perseguitati e mai di chi perseguita, anche se chi lo fa pretende di farlo in nome suo.