domenica 9 dicembre 2018

San Carlo.org:LA VOCE CHE GRIDA NEL DESERTO

In questo periodo di attesa del Natale, proponiamo una meditazione di don José Maria Cortes sulla figura san Giovanni Battista, tenuta ai seminaristi e preti della Casa di Formazione durante l’Avvento 2016.

Ogni anno, la liturgia dell’avvento pone davanti ai nostri occhi la figura del precursore di Gesù, voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore (Lc 3,4).

A Giovanni Battista è stato affidato un ruolo d’importanza singolare nel disegno della salvezza. Non a caso, nelle litanie dei santi, la Chiesa lo colloca all’inizio, subito dopo gli angeli. Egli è il solo santo del calendario liturgico del quale si celebra sia la nascita sia il martirio e due volte, in avvento, il vangelo della domenica parla di lui. La sua missione non è cessata con la sua morte. Anzi, nella gloria, il Battista continua ad agire per noi e la sua forza profetica ci invita ad adorare il vero Dio.

Giovanni è un uomo radicale. Se guardiamo a lui, percepiamo la forza dell’ideale e riscopriamo il grande orizzonte delle promesse di Dio, uscendo dalla mediocrità che facilmente perverte il nostro cuore. Abbiamo bisogno di stare di fronte a persone come il Battista, che hanno il coraggio di testimoniare la verità che contrasta la chiusura del cuore.

La preparazione

Parlando a Zaccaria, l’arcangelo Gabriele lo descrive  con queste parole: Egli sarà grande davanti al Signore. Non berrà né vino né bevande alcoliche e sarà pieno di Spirito Santo fin dal grembo di sua madre; convertirà al Signore molti figli d’Israele; avrà lo spirito e la potenza di Elia, per preparare al Signore un popolo ben disposto (cfr. Lc 1,15-16).

Il Battista è consacrato a Dio fin dal seno materno. Egli si astiene dalle bevande alcoliche perché lo Spirito Santo è la sua sola fonte d’inebriamento, l’unica sorgente della sua gioia.

Il suo grande compito è quello di preparare a Cristo un popolo ben disposto. Prima di parlare alle folle, però, egli trascorre un lungo tempo di preparazione: Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele (Lc 1,80). La missione del Battista matura nel silenzio del deserto, in una solitudine che non coincide con l’isolamento dal mondo, ma con la ricerca di Dio. Per parlare agli uomini bisogna vivere questa solitudine, scoprendo esistenzialmente che la risposta ai bisogni più profondi può essere trovata soltanto in Dio.

La solitudine coincide con la nostra relazione personale e unica con Dio. Don Giussani dice che «la vera solitudine non è data dal fatto di essere soli fisicamente, quanto dalla scoperta che un nostro fondamentale problema non può trovare risposta in noi o negli altri. […] Siamo soli coi nostri bisogni, col nostro bisogno di essere e di vivere intensamente. Come uno, solo, nel deserto, l’unica cosa che possa fare è aspettare che qualcuno venga».

L’esperienza della solitudine si intensifica nel deserto, dove si diventa coscienti di aver bisogno di essere salvati e dove si comprende che la salvezza deve necessariamente venire da fuori: Colui che ci salva è altro da noi.

L’inizio della missione

Dopo una lunga attesa, il Battista vive un momento di grazia che segna l’inizio della sua missione. L’evangelista Luca situa nel tempo e nello spazio tale avvenimento: Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea … la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (Lc 3,1-2).

Dopo gli anni passati nel silenzio, conducendo una vita ascetica e meditando la parola di Dio, giunge per lui il momento di comunicare tutto ciò che egli ha ricevuto e fatto proprio. Il Signore gli invia un segno del cielo, forse simile a quello descritto dal profeta Geremia: Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca e mi disse: Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca e ti do autorità sopra le nazioni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare (Ger 1,9-10).

In realtà il Battista conosce lo Spirito Santo fin dal seno di sua madre, come afferma l’angelo Gabriele. Infatti, quando Elisabetta riceve il saluto di Maria, egli sussulta nel suo grembo (cfr. Lc 1,41). Con il misterioso evento di grazia che accade nel deserto, però, lo Spirito discende su Giovanni con forza e suggestività nuove. Ora egli è pronto a iniziare la sua missione. Un fuoco si è acceso nel suo cuore, spingendolo ad annunciare il messaggio che gli è stato comunicato. Egli, che ha sempre vissuto cercando la propria conversione, deve chiamare alla conversione tutto il popolo d’Israele.

Il rapporto con Dio e l’aiuto agli uomini

L’uomo del deserto attira le folle dalla città. La gente lo ascolta e gli pone domande: Le folle lo interrogavano: Che cosa dobbiamo fare? (Lc 3,10). Anche a noi gli uomini chiedono tanti consigli. Per offrire loro risposte adeguate, dobbiamo ricordarci che essi, in noi, cercano Dio. Ci cercano col desiderio che la parola di Dio diventi per loro personale. Per rispondere al loro bisogno dobbiamo dunque conoscere Dio, altrimenti diciamo parole nostre e non di Dio, oppure ripetiamo cose già sapute, prese in prestito da altri, che lasciano insoddisfatti noi e i nostri interlocutori. La nostra capacità di parlare agli uomini si fonda sul nostro rapporto personale con il Signore.

Guardando alla storia della Chiesa, scopriamo che tanti uomini che hanno lasciato tutto per stare con Dio, cercando la solitudine del deserto e la conversione del cuore, si sono poi trovati, inaspettatamente, circondati da un popolo. Basta pensare a sant’Antonio abate o a san Benedetto. In loro si è compiuta la profezia di Isaia: La solitudine fiorirà come giglio (Is 35,1). Chi cerca veramente Dio sarà cercato dagli uomini.

Guardando il Battista, comprendiamo l’essenzialità della vigilanza di cui parla Gesù: Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione (Mt 26,41). Se non difendiamo il nostro rapporto con Dio, se il nostro cuore non è riempito dalla Sua memoria, allora il mondo, la carne e il demonio occupano il vuoto che si crea in noi. È facile trascurare la preghiera e il silenzio, ma se perdiamo il legame con Dio tutto si svuota, il male ci invade e non siamo d’aiuto per nessuno.

L’invito alla conversione

Il Battista ha speso tutta la propria vita per preparare l’arrivo di Cristo: Predicava nel deserto della Giudea dicendo: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,1-2). Gesù, all’inizio della sua vita pubblica, usò le stesse parole: Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo (Mc 1,14-15).

Ricordo che all’inizio della mia missione a Washington ero preoccupato di ideare programmi che attirassero la gente in parrocchia. Un confratello, però, mi disse: “Sarà la tua conversione ad attrarre le persone”. Questa frase ha semplificato la mia vita. Ho capito che la missione coincide con la conversione. Ciò che affascina le persone è la vita di un uomo cambiato da Cristo.

La conversione è la forza che vince il formalismo. A coloro che andavano a farsi battezzare, il Battista diceva: Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di potere sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli di Abramo (Lc 3,7-8).

L’umiltà

Come preannunziato da Gabriele, il figlio di Zaccaria è stato grande davanti al Signore (Lc 1,15). Egli è stato grande perché è stato umile. In lui vediamo compiute le parole di Gesù che ha detto: Chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,11). Il Battista ha accettato di cedere il primo posto a Cristo, senza amarezze, anzi, con gioia: L’amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena (Gv 3,29). A tutti dichiarava: Lui deve crescere, io diminuire (Gv 3,30). Egli sapeva di essere la voce, non la parola. Come dice sant’Agostino: «Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio». Quando le autorità di Gerusalemme gli chiesero di dichiarare la propria identità, il Battista rispose prontamente: Io non sono il Cristo. Allora gli chiesero: Sei tu Elia? Rispose: Non lo sono. Gli chiesero allora: Che cosa dici di te stesso? Rispose: Sono la voce che grida nel deserto (Gv 1,21-23). Giovanni era consapevole di essere un messaggero. Sapeva di appartenere, conosceva la propria origine e il proprio compito nel mondo.

Egli venne come testimone … Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce (Gv 1,7-8). La sua figura ci insegna che la vera gloria deriva dall’inserimento nel disegno di Dio. Egli è stato il più grande perché ha lasciato che Cristo fosse il centro. Il suo esempio costituisce un antidoto contro le tentazioni del culto della personalità e contro gli atteggiamenti auto-celebrativi. Il Battista non cercava la gloria personale, ma quella di Dio. Meglio: egli trovava la propria gloria nella glorificazione di Dio.

Diventare umili

Il peccato originale è stato un peccato di superbia e tutta la vita cristiana, come dice san Bernardo, è un itinerario dall’orgoglio all’umiltà e dall’umiltà all’estasi. La nostra superbia deve essere sepolta affinché fiorisca l’umiltà. Dobbiamo continuamente affogare l’uomo vecchio nelle acque del battesimo per far emergere l’uomo nuovo.

Per diventare umili dobbiamo partecipare alla Pasqua di Cristo accettando le umiliazioni che la vita necessariamente ci porta. È importante che ci chiediamo come reagiamo di fronte a esse: ci chiudiamo in noi stessi, risentiti e isolati, oppure ci apriamo a Dio? Dice l’Imitazione di Cristo: «L’umile, quando ha ricevuto un’umiliazione, rimane bene in pace, perché sta fisso in Dio e non nel mondo». Dobbiamo portare nella preghiera le umiliazioni che subiamo, perché solo alla presenza di Dio esse diventano potatura che fa nascere frutti abbondanti  (cfr. Gv 15,1-2).

Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato (Lc 3,5). Le parole del Battista sono un invito all’umiltà: i monti e i colli da abbattere rappresentano la nostra superbia, mentre la valle da riempire è l’umiltà. Dice sant’Antonio da Padova: «Ogni valle sarà riempita con quel grano di frumento che caduto nella terra morì e di cui il salmo dice: Le valli abbonderanno di frumento». Poi sant’Antonio aggiunge: «La beata Maria, essendo una valle, fu colmata, e dalla sua pienezza noi tutti, vuoti, abbiamo ricevuto: Saremo riempiti dall’abbondanza della tua casa».

L’umiltà è una virtù da chiedere alla Madonna. Lei, che nel Magnificat canta: Il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva (Lc 1,48), non mancherà di intercedere per noi. Per questo ci rivolgiamo ogni giorno alla Vergine con la preghiera di De Grandmaison che dice: «Formami un cuore dolce e umile».

Il profeta dell’Altissimo

Erode Antipa incarcerò il Battista nel castello di Macheronte, irritato dalla franchezza con la quale egli lo rimproverava per la sua relazione adultera con la cognata. Sembra che il Battista sia rimasto in prigione oltre un anno. I suoi amici, però, gli portavano notizie dei miracoli compiuti da Cristo e della Sua crescente fama. Gli riferivano anche ciò che Gesù diceva alle folle parlando di lui: Cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora, cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te (Mt11,7-10).

Il Battista era un profeta, il profeta particolare che concludeva l’antica alleanza. Come ha detto Gesù: La legge e tutti i profeti hanno profetato fino a Giovanni (Mt 11,13). L’arcangelo Gabriele, descrivendo a Zaccaria il compito del figlio, ha spiegato in sintesi che cosa significhi essere un profeta: [Egli] convertirà al Signore molti figli d’Israele; avrà lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto (Lc 1,16-17).La missione profetica consiste nel ricondurre il popolo a Dio, nel creare comunione e nell’insegnare sapienza, cioè nel suscitare un giudizio prudente  sulla realtà. Il profeta partecipa alla visione di Dio sulla storia degli uomini ed è chiamato a testimoniare la verità.

La domanda

Il Battista, in carcere, ha vissuto un momento di crisi, non solo per la mancanza di libertà, ma anche a causa di un dubbio che si era instaurato nel suo cuore. Egli si chiedeva se Gesù fosse veramente il salvatore atteso, poiché i Suoi comportamenti non erano conformi alle aspettative. Il Battista infatti era convinto che il giudizio divino fosse imminente: Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Colui che viene dopo di me raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile (cfr. Mt 3,10-12). Il messianismo di Gesù, però, era diverso. Forse il Battista arrivò a pensare di essersi impegnato in una missione sbagliata. In una tempesta di pensieri e di angoscia, egli decise di mandare i suoi discepoli da Gesù: Venuti da lui, quegli uomini dissero: Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro? In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito (Lc 7,20-22).

Il Battista non si è chiuso nei problemi e nei sospetti, ma ha preso l’iniziativa di domandare. Nei momenti di crisi, è importante che ci apriamo e ci confrontiamo con qualcuno. Altrimenti il dubbio ci distrugge, togliendoci la gioia, la pace e, infine, la vocazione. Scrive san Cassiano: «Un cattivo pensiero, portato alla luce del giorno, perde subito il suo veleno. Prima ancora che la discrezione abbia proferita la sua sentenza, il serpente infernale, che la confessione ha tirato fuori dal suo nascondiglio tenebroso, se ne fugge svergognato. Le sue suggestioni hanno potere su noi finché restano nascoste in fondo al cuore».

L’annuncio della verità

Il nostro tempo è caratterizzato da quella che Benedetto XVI ha chiamato “dittatura del relativismo”. Il Battista, invece, era un uomo appassionato della verità. Egli desiderava svelare agli uomini Colui che ha detto di se stesso: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,6). Il Battista ha dato la vita per testimoniare il Verbo di Dio pieno di grazia e verità (Gv 1,14). Di lui, Gesù ha detto: Egli ha reso testimonianza alla verità (Gv 5,33).

Il nostro tempo ha più che mai bisogno di uomini che vivano una tensione alla verità. L’ambiguità non è certo sinonimo di virilità. Non si può annunciare Cristo senza proclamare la verità. L’annuncio cristiano, privo di un contenuto ontologico, svuotato della dimensione metafisica, corre il rischio di adattarsi ai messaggi politicamente corretti del momento, sottomettendosi alla mentalità dominante che tutto omologa e appiattisce.

Oggi, in particolare, è molto diffusa la visione che considera la dottrina opposta alla prassi. Tale visione deriva dalla concezione moderna, cartesiana, che percepisce la verità come un’evidenza astratta di tipo matematico. La verità, invece, «è una relazione». San Tommaso parla di una relazione fra intelletto e oggetto – adaequatio rei et intellectus – e von Balthasar definisce la verità come corrispondenza tra il fondamento e il fenomeno. Scoprire la verità significa percepire il rapporto fra l’effimero e l’eterno, cioè la misteriosa origine delle cose. San Giovanni Paolo II, nella Fides et ratio, ha scritto: «Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge».

L’uomo contemporaneo fatica ad arrivare all’origine delle cose. Siamo come ciechi di fronte all’essere e non percepiamo l’oggettività della verità. Osserva von Balthasar: «Chi è diventato cieco nei riguardi dell’essere come potrà non diventare cieco anche nei riguardi di Dio? Bisognerà dire allora che il cristiano, ossia colui che annuncia oggi la gloria di Dio, deve responsabilmente prendere su di sé il peso della metafisica».

Nel nostro impegno pastorale, dunque, non possiamo dimenticare la dottrina, anche se dobbiamo aiutare l’uomo a riscoprire il proprio nesso con il mistero, con la verità ultima delle cose, che a tanti appare lontana. Possiamo dire che la nostra missione, come quella del Battista, consiste nel preparare gli uomini all’incontro con Cristo. Egli è la verità, perché in Lui il fondamento coincide con il fenomeno, l’apparenza mostra l’essenza, la carne esprime il divino.

L’amico dello Sposo

Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta (Gv 3,29). Il Battista identifica Gesù con lo sposo, con colui che compie le nozze fra Dio e il suo popolo. Gesù stesso confermerà tale identificazione parlando del digiuno dei suoi discepoli: Possono forse gli invitati a nozze digiunare quando lo sposo è con loro? (Mc 2,18).

Il sacerdote è l’amico dello Sposo e partecipa in modo unico alle nozze fra il cielo e la terra. Il sacerdote è anche identificato con la persona di Cristo, chiamato ad agire in persona Christi capitis, ed è perciò sposo della Chiesa. La chiamata alla verginità del sacerdote non si basa dunque soltanto sul battesimo, ma trova un’ulteriore ragione nel sacramento dell’ordine. Giovanni Paolo II lo ha spiegato in modo chiaro: «[La legge ecclesiastica sul celibato] esprime la volontà della Chiesa, prima ancora che la volontà del soggetto […]. Ma la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l’Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo, capo e sposo della Chiesa. La Chiesa, come sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo, capo e sposo, l’ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore».

Il sacerdote è chiamato a entrare nel mistero della donazione di Cristo alla Chiesa. Per questo è necessario un sacrificio, tanto che il sacerdote rinuncia alle nozze con una donna. Egli però, come il Battista, sentendo la voce dello sposo, cioè accogliendo la parola di vita di Gesù, può sperimentare la gioia immensa delle nozze eterne, partecipando all’unione fra cielo e terra. Giussani dice che la forma di vita di chi si consacra a Dio permette di «penetrare in quel fenomeno di sponsalità totale con tutti e con tutte le cose, che è la promessa della realtà di Cristo». Il sacerdote vive tutti i rapporti, in particolare quelli con le donne, in un atteggiamento di rispetto, servizio e protezione, come san Giuseppe con la Madonna.

Giovanni è il precursore, il servitore umile, il testimone della verità, il profeta dell’Altissimo e l’amico dello Sposo. Chiediamogli di accompagnare il nostro cammino in questo tempo di avvento. Egli può aiutarci a conoscere Dio e noi stessi, rendendo la nostra vita realmente feconda