Il papa ha detto che preferiva non commentare per parte sua le dichiarazioni che recentemente hanno suscitato tanta eco nella Chiesa e nell’opinione pubblica, ma non ha proibito agli altri di fare responsabilmente le proprie riflessioni. Perciò ho pensato giusto dire qualche parola.
Ho visto diverse situazioni e campagne simili in passato e penso che se ne vedranno ancora molte negli anni futuri. Del resto, non mi risulta che ci siano stati tempi del tutto tranquilli nella storia della Chiesa, come non ci sono stati nella stessa vita di Gesù. Tensioni, discussioni, confusioni, attacchi ci accompagneranno sempre in questo mondo.
La rete della confusione
La novità sta forse nella globalizzazione della confusione e degli strumenti per diffonderla, ma questa è una ragione di più per vivere la propria fede chiedendo fortezza e pazienza, e per esercitare la propria coscienza, intelligenza e prudenza nel cammino della carità e della verità. Un impegno in più, non facile certo, ma è quello che oggi ci è chiesto senza lasciarci imprigionare da alcuna paura o timidezza.
Sono anche convinto che lo Spirito promesso da Gesù continuerà a servirsi dei successori di Pietro – in concreto dei papi –, nonostante i limiti che tutti inevitabilmente hanno avuto e avranno anche in futuro; e che la prima «riforma» davvero necessaria e sempre in corso è quella che comincia da noi stessi per lasciarci guidare dal Vangelo e da questo Spirito.
Per quanto riguarda l’ondata di discussioni e attacchi di questi giorni, è così ampia che ovviamente non sono competente per rispondere a tutto e penso che nessuno se lo aspetti da me. In particolare, sono stato sorpreso e sconcertato anche io dalla gravità della vicenda del card. McCarrick, e ritengo bene che sia stata finalmente conclusa con la sua destituzione dal Collegio cardinalizio; ma non sono in grado di aggiungere considerazioni sulla vicenda e sugli approfondimenti ancora da fare.
L’autorità meritata
Voglio invece dire qualche cosa sul contesto eccezionalmente ampio di problemi e accuse che sono stati evocati, perché mi pare che proprio tale ampiezza abbia un effetto grave di confusione e senso di insicurezza.
Osservo dunque anzitutto che per presentarsi come giudici e moralizzatori della comunità della Chiesa occorre non solo l’integrità delle intenzioni (che non mi sento di negare a priori a nessuno), ma anche un’autorità morale appoggiata su una provata capacità di curare il bene comune attirando fiducia e rispetto.
Per questo è necessario saper correggere se necessario, ma poi anche costruire insieme con gli altri e condurli su un cammino di miglioramento e non di guerra degli uni contro gli altri, a cominciare dalla comunità familiare, per passare poi ai diversi livelli di responsabilità nelle istituzioni o nella comunità. Insomma: non solo creare divisioni, ma saper condurre a superarle. Non ritengo che S.E. mons. Viganò si sia guadagnato questa autorità.
Se per il bene comune e delle persone si è ricevuto (e si è responsabilmente accettato) un ufficio che comporta disporre di informazioni riservate sulle persone, tale «potere» deve essere usato nella misura in cui è necessario per provvedere per il bene e non per diffondere un clima di sospetto e minaccia generalizzato, in diversi casi realmente ingiustificato, che distrugge il bene comune invece di favorirlo. Nel nostro caso si è andati al di là del dovuto.
Alla luce di un buon numero di anni di esperienza di rapporti nella Curia Romana, voglio testimoniare che – nonostante diversi limiti – la valutazione generale che queste discussioni inducono è gravemente ingiusta nei confronti del grande numero di persone integre e dedicate che vi lavorano, animate da un sincero spirito di fede cristiana e di amore alla Chiesa. Anche questo genere di valutazioni è un’ingiustizia.
Vissuti credibili
Per quanto riguarda gli abusi sessuali (e di potere e di coscienza, come giustamente insiste sempre più spesso papa Francesco), sono fermamente convinto che sia una questione che, oltre ai doverosi interventi normativi e disciplinari – su cui c’è ancora sempre molto da fare, in particolare in diverse aree geografiche e culturali –, deve coinvolgere a livello profondo la vita personale di ognuno di noi, richiedendo un forte e continuo rinnovamento spirituale, un vero cammino di «castità» e dignità nella vita affettiva e sessuale secondo i diversi stati di vita e di impegno.
Solo il risplendere credibile di esempi diffusi, non unicamente di maturità e di rispetto ma anche di santità in questa dimensione della vita umana (affettività e sessualità), potrà aiutare la Chiesa a ricuperare l’autorevolezza morale che il popolo si attende affinché essa svolga bene la sua missione in un clima e in una cultura pesantemente negativi da questo punto di vista.
In questo senso non penso che la via giusta sia quella di vedere gli abusi sessuali principalmente come conseguenza dell’omosessualità, né di vedere reti e lobby omosessuali ramificate dappertutto come origine principale dei mali. Anche Benedetto XVI, pur notoriamente e criticamente attento al problema dell’omosessualità nel clero, e che conosceva il risultato delle indagini della Commissione «dei tre cardinali», aveva molto relativizzato il presunto peso della «lobby omosessuale» nella Curia Romana – come appariva dalla sua risposta a una specifica domanda di P. Seewald al termine delle Ultime conversazioni.
Il governo delle complessità
Infine, in base alla mia esperienza della Compagnia di Gesù (che è certo più ampia di quella di tutti i critici che stanno parlando, dato che sono gesuita da 58 anni, ho partecipato a quattro Congregazioni Generali, sono stato provinciale della Provincia più numerosa dell’Ordine e assistente del Padre Generale), ritengo che – pur riconoscendo la presenza di errori e peccati anche gravi fra le diverse migliaia di miei confratelli – il parlare dell’«ala deviata dell’Ordine» manifesti chiaramente una visione parziale della nostra storia e realtà, con la tendenza a classificare e dividere, piuttosto che a comprendere e governare le tensioni e le dinamiche di un corpo vario e complesso (questa visione parziale e divisiva viene applicata anche alla Chiesa intera).
A proposito di una Compagnia di Gesù certamente «non deviata», osservo che una lettura – pur debitamente attualizzata – delle «regole per sentire nella Chiesa», date da Sant’Ignazio di Loyola al termine del lungo cammino degli Esercizi Spirituali, non lascia dubbi che lo spirito che si manifesta nell’ondata di critiche che è stata scatenata non è certo segno di un genuino «sentire nella Chiesa».
La parola che unisce
In conclusione, non posso vedere in alcun modo come positivo e costruttivo ciò che è apparso come un’operazione preparata e organizzata per diffondere il più largamente possibile una serie davvero troppo grande di accuse, di valutazioni negative, di sospetti, che non possono che disorientare le persone che non hanno i mezzi per valutare, criticare e difendersi da un’ondata che ottiene di fatto il risultato di minare la loro fiducia nella Chiesa e nella sua guida.
Si divide e basta – e non si mette in campo alcun elemento per preparare un’unione a un livello superiore. Ho sempre pensato che la parola e la comunicazione, non solo nella Chiesa ma anche nella comunità umana, pur con consapevolezza critica, debbano mirare sempre al fine ultimo della comprensione reciproca e della comunione. Non a Babele, ma a Pentecoste.
P. Federico Lombardi, 10 settembre 2018