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martedì 24 settembre 2019

Come se non: I bambini dimenticati e la distrazione indotta dai media. Sui casi tragici di amnesia paterna

di Andrea Grillo

“Si dimentica forse una donna del proprio figlio?” (Is 49,25). La sapienza biblica e popolare sa bene che il legame tra madre e figlio, in misura diversa anche tra padre e figlio, è una tale priorità che solo in casi estremi può sopportare “altre priorità”. La cronaca ci dice, tuttavia, che si ripetono casi, nei quali il figlio, per un padre e per una madre, diventa irrilevante, può essere dimenticato, può addirittura scomparire dall’orizzonte. E può morire per questa amnesia. Una dimenticanza di qualche ora può costare la sua vita.

Accade così. Hai sistemato tuo figlio sul seggiolino, dietro di te. Lo fai tutte le mattine. Lo appoggi delicatamente, stringi le cinghie che lo fissano al suo sedile, lo saluti con un sorriso, poi sali davanti e appena hai messo in moto, con un fenomeno assolutamente certo, già il bimbo inizia a socchiudere gli occhi. Dopo due curve, dorme. E’ sempre così. Purtroppo. Perché così il figlio scompare non solo dall’occhio, ma anche dall’orecchio. Diventa parte dell’automobile, impercettibile. Questo effetto di sparizione è accentuato dal fatto che la legge, per buone ragioni, ha vietato di collocare i seggiolini sul sedile davanti, accanto al guidatore. Bambini dietro: è più sicuro, in caso di incidente. Ma la maggiore sicurezza, nel caso limite e accidentale, diventa rischio maggiore, nel caso in cui alla normale “routine” subentri una variante. Può essere una strada chiusa che costringe ad un lungo giro supplementare, oppure una consegna insolita o una commissione imprevista: alterando la sequenza ordinaria, magari con la musica di sottofondo, può portarti a “sentire” di poter filare dritto al mercato, o in ospedale, o in fabbrica, o in ufficio. E corri via, convinto di aver compiuto la solita sequenza, a cui manca però la “consegna alla scuola materna”. Pensi di averlo fatto, ma non lo hai fatto. Non solo la mente, ma il corpo, il tatto, il buon senso, ha immaginato, ma non ha compiuto il gesto. Solo quando te ne ricordi, all’improvviso, ti si gela il sangue nelle vene e provi a rimediare. Ma la macchina chiusa, preservata da ogni filo d’aria esterna, si surriscalda ed è spesso una trappola mortale, che non lascia scampo. E’ troppo tardi. La breve amnesia ha un prezzo insopportabile.

Rileggere sul piano “morale” la dimenticanza è sempre possibile, ed anche necessario, ma rischia di non cogliere il cuore della questione. Le “forme di vita complesse” alle quali siamo costretti nella “società aperta” introducono forme di comportamento in cui la amnesia diventa molto più facile di prima. La sequenza di “stimoli” a cui siamo sottoposti oggi è 100 volte maggiore di quella di 50 anni fa. E mette alla prova la nostra “agenda” in modo drammatico.

Alcune considerazioni, per recuperare la rilevanza di una questione morale, non ridotta al “dovere del soggetto”, ma che tenga conto delle nuove condizioni della esistenza, appare necessaria. Rispondere, come fanno alcuni psicologi, che la causa è “neurologica, non morale” appare giustificato, ma troppo semplicistico. Non nel senso di una “non colpevolizzazione del soggetto”, ma nel senso di una necessaria riflessione sulle condizioni “metasoggettive” che conducono a questi eventi. Alla domanda “è possibile che un padre si dimentichi della figlia che dorme nel seggiolino e la condanni alla morte per asfissia?” la risposta è: essendo un dato reale, deve essere affrontato seriamente, non soltanto sul registro della colpa. Proviamo a indicare una strada.

I “media” : attenzione e distrazione

Oggi siamo circondati da “media”: con media si intendono non solo telefoni, televisioni, radio, ma anche automobili, seggiolini, semafori, corsie preferenziali, orari…tutto questo esige contemporaneamente un enorme potenziamento di due facoltà che sembrano contraddittorie. Abbiamo bisogno di molta maggiore “attenzione” e insieme di molta maggiore “disattenzione”. La attenzione – che ci rende affettivamente insensibili – pretende da noi una presenza a noi stessi per guidare l’auto, e insieme telefonare, e insieme programmare il navigatore, e insieme rispondere ad un messaggio di posta elettronica. Questa attenzione che i media “pretendono” inclina ad una progressiva distrazione da tutto il resto. Anche da tuo figlio.

Il soggetto paterno e materno si “arma” contro l’assalto di attenzioni che rende distratti. Ma è disarmato verso il “caso imprevisto”. La alterazione della sequenza, che l’accidentale diversione introduce, è travolgente e azzera le risorse, per quante ne possiamo avere. Qui occorre una riflessione diversa. Dobbiamo chiederci: che cosa può interrompere questa progressiva inclinazione alla indifferenza, che deriva precisamente dal bombardamento di attenzioni richieste dai media sempre più sofisticati?

Per resistere alla indifferenza potrebbe essere utile riattivare i canali elementari di rapporto: ossia vista e udito. Un figlio “visibile” e “udibile” non può scivolare nella amnesia. Di fatto la proposta di “seggiolini con allarme” risponde precisamente a questa esigenza. E lo stesso potrebbe essere la riconsiderazione della posizione “anteriore” del seggiolino, che risolverebbe in radice il problema della amnesia, con la visibilità del figlio sempre accanto al guidatore. La “virtualizzazione del rapporto”, che pure permette di curarlo e coltivarlo con finezza, diventa a rischio quando si è alla guida. Forse perché quell’effetto di “dimenticanza di sé” – che notiamo tanto nel bambino, che proprio in auto si addormenta così facilmente – minaccia anche il genitore. La condizione dell’uomo in automobile, non importa se piccolo o grande, è una condizione “di compiutezza cullata”. Una macchina iperaccessoriata, ossia ipermediata, pone le premesse per una maggiore attenzione, ma anche per nuove forme di distrazione. Ad es. i “sensori di parcheggio” sono una grande comodità, ma abbassano la attenzione del soggetto sul reale “esterno”. Se non senti il suono, pensi che non ci sia ostacolo. Inizi ad abituarti a parcheggiare non con gli occhi, ma con le orecchie. Questo diventa però anche una nuova fragilità, se torni a guidare un’auto priva di sensori. Ed alza molto il rischio di incidente in retromarcia: non senti nessun rumore finché non fracassi il paraurti posteriore contro il muro. Così, per comprendere le amnesie tragiche dei padri, anche la “chiusura a distanza” dell’auto rende possibile “imprigionare il figlio” senza neppure toccare l’automobile, senza guardarla, salutando gli amici o ascoltando musica: ossia nella più totale distrazione. Tutte le “comodità” che infiniti “media” ci rendono disponibili e che ci viziano, mettono alla prova la nostra sensibilità ordinaria. E le tendono anche agguati, di cui dobbiamo diventare consapevoli.

Amnesia del padre, amnesia del figlio

La tradizione conosce (e si preoccupa di evitare) la amnesia filiale, il figlio che si dimentica del padre e della madre, mentre quasi non riesce a concepire la amnesia materna/paterna. “Onora il padre e la madre” ha il suo fondamento sul fatto che il padre e la madre non si dimenticano mai di te. Mentre può sempre capitare che il figlio e la figlia si dimentichino della madre o del padre. Questo è un caso molto più frequente. E può assumere la forma di una “amnesia generale” oppure di una “amnesia particolare”. Vorrei raccontare qui il caso di una amnesia particolare, nella quale sono caduto molti anni fa, che ha tratti simili a quelli oggi balzati alla cronaca. Nulla di drammatico, in quel caso, se non una inspiegabile e totale perdita della memoria. Ecco i fatti: da anni la sequenza del giovedì sera, a settimane alterne, era questa: da casa mia, per andare all’incontro di catechesi di Casa Zaccheo, a Savona, passavo sotto casa da mia madre, che aspettava nel portone, ad ora certa, con i dolci preparati per il fine serata, e mi accompagnava all’incontro. Così era stato, da sempre. Ma quella sera, a causa della presenza di un ospite della serata, le cose andarono diversamente: avevo prelevato l’ospite alla stazione, avevo cenato con lui e con altri e poi lo avevo accompagnato direttamente alla sede della conferenza. Poi conferenza, discussione, saluti, ritorno a casa. Alle 23.30, squilla il telefono di casa: mia madre mi dice “sono stata un’ora ad aspettarti e non sei venuto. Non mi sentivo più le gambe. E sono tornata su”. Quella tappa consueta si era completamente volatilizzata, senza lasciare traccia. Ovviamente questo era possibile allora, nella età prima del telefono cellulare, che oggi è rimedio provvidenziale per queste eventualità. Ma ciò che voglio ricordare è la totale perdita di memoria circa la attesa di mia madre. E’ riemersa alla coscienza solo 3 ore dopo, all’improvviso e troppo tardi. Nulla di irreparabile, né di paragonabile, almeno come effetto, ai casi attuali. Ma credo che la dinamica mentale, psicologica e comportamentale sia stata la medesima. Una sequenza abituale, alterata da una presenza e da incombenze eccezionali, ha modificato la coscienza, cancellando alcuni anelli della catena. La mente, il corpo, la azione rimuove una parte della sequenza, salvo recuperarla come mancante, all’improvviso, qualche tempo dopo. Amnesia paterna, amnesia filiale, forse anche amnesia fraterna sono possibilità di sempre, ma rese più facili da un mondo che, potendo mediare tutto, rende tutti strutturalmente molto più sensibili ma, nello stesso tempo, molto più indifferenti. Non si tratta della colpa di singoli, ma delle forme di vita comuni, che dobbiamo rendere umanamente vivibili, con alcune accortezze antiche e con alcune attenzioni nuove. In questo senso i casi tragici delle amnesie paterne sono “casi morali” di cui dobbiamo occuparci con nuovi strumenti di discernimento.