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sabato 31 marzo 2018

P. Giulio Michelini: l'ultima cena di Gesù

Per chi mi ha chiesto qualche approfondimento sulla liturgia del giovedì santo ecco un  articolo di P Giulio Michelini

Don Sergio Massironi, Osservatore Romano: Come atleti. Meditazione sulla settimana santa

Per chi ha tempo e, non perde tempo, sottopongo questo articolo di don Sergio Massinori che ci viene suggerito da chi sta collaborando attivamente a questo blog.
Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che stanno inviando materiale da condividere con tutti voi lettori. Lo scopo di questo blog è proprio questo: creare una rete di collaboratori con l'unico scopo di fare "cultura religiosa" di un certo genere. Più ne siamo, più avremo modo di toccare una rosa di interessi molto ampia che possa aiutare tutti a riavvicinarsi a Dio, alla Chiesa, alla fede testimoniata.
Quindi diffondete l'iniziativa a chi può essere interessato e, come agli inizi della chiesa nascente, annunciamo la "buona notizia". Grazi di cuore P. Paolo
"Tener «fisso lo sguardo su Gesù» è nel Nuovo Testamento la chiave di una giovinezza che fa «correre con perseveranza». Come in una grande maratona, l’autore della Lettera agli Ebrei vede Gesù davanti dare a tutti il passo, cioè quell’andatura che rende possibile arrivare al traguardo senza venir bruciati dalla fatica. Avere gli occhi su di lui impedisce lo sconforto, dà il giusto ritmo, abilita a mete straordinarie chi ben presto prova la tentazione di lasciare." 
"Il dono della settimana santa, nell’immagine molto greca di un Gesù maratoneta, ha di mira il perdersi d’animo da cui è tentato chi ha iniziato a correre. Seguirlo è trovare il nostro passo, esser resi capaci di ciò che vogliamo. Averlo davanti modera l’irruenza dei primi chilometri, insegna agli entusiasti la regolarità, porta alla fedeltà, rimotiva nella stanchezza, incoraggia e fa compagnia. La Parola di Dio agisce se le concediamo di raggiungere le zone grigie di rassegnazione che paralizzano esperienze in cui eravamo dapprima partiti con molto slancio e amore. Forse il desiderio di una vita donata generosamente si è spento, mortificato dalle prove o da alcune sconfitte. È mancato il fiato. Oppure progetti particolari cui ci si è sentiti chiamati, amicizie in cui si era investito, impegni cui una forte attrazione aveva motivato: quale esperienza umana non finisce col mettere alla prova, al punto di volerla lasciare?"

Don Alberto Brignoli: Qualcuno ha già rotolato via la pietra per noi

"Mettiamoci una pietra sopra": chissà quante volte avremo pronunciato questa frase. Forse al termine di una discussione protrattasi più del dovuto, oppure a conclusione di un periodo di forti incomprensioni con qualche familiare, con una persona a cui vogliamo bene, con un conoscente o con un collega di lavoro. Lo si dice per non rivangare più certe logoranti situazioni e per guardare avanti.
"Mettiamoci una pietra sopra": lo diciamo proprio per guardare avanti, dopo un periodo difficile, dove magari la salute è venuta un po' meno, il lavoro è mancato, in casa c'erano un mucchio di problemi. Grazie a Dio, anche i periodi critici passano e si vuole dimenticare quello che è avvenuto, per guardare avanti con speranza e fiducia.
"Mettiamoci una pietra sopra": è anche la frase che si scambiano due persone, che si sono promesse amore per l'eternità, e poi scoprono poco a poco che l'eternità deve fare i conti con la fatica di ogni giorno, e allora vanno in crisi, e arrivano alla sofferta conclusione di lasciarsi, di interrompere la loro relazione. Decise ad andare avanti, sì, ma ognuno per la sua strada, mettendo una pietra sopra il passato e cercando di dimenticarsi a vicenda. Quell'amore - ammesso che fosse tale - ormai è morto, e lo si seppellisce mettendoci, appunto, una pietra sopra.
Poi, però, capita spesso che quella "pietra messa sopra" non ci convince, e ci coglie l'intrigante desiderio di andare a spiare dentro quel luogo dove abbiamo sepolto il nostro passato, magari per vedere se quegli "scheletri nell'armadio" ci fanno ancora paura, o forse per renderci conto che è davvero finita, perché magari non vogliamo o non siamo capaci di accettarlo. Resta il fatto che la pietra sopra c'è, ed è pesante, e rotolarla via per andare a guardarci dentro non è poi così facile.
Riguardare dentro il nostro passato e rivangare il tempo che non c'è più è una cosa faticosa e dolorosa, e forse a volte non ne vale nemmeno la pena: a che scopo? Per rimanerci ancora più male? Per sentirci a posto con la coscienza? Per imbalsamare il cadavere, e ungerlo con oli aromatici come fecero le donne di buon mattino al levare del sole?
Ci piacerebbe cercare di capire gli sbagli del passato, eppure è meglio di no; anzi...sarebbe meglio di sì per trarne esperienza e per non ripeterli più, però... è più saggio non farlo; o magari è saggio farlo, ma invece non riusciamo perché costa fatica.... Che caos...quanti pensieri frullano nella testa, mentre pensiamo a un passato pieno di sbagli, di colpe, di valutazioni scorrette, di scelte azzardate...e intanto la vita va avanti, e noi facciamo passare il tempo e proseguiamo il cammino pensando e rimuginando su queste cose...
Ma poi, anche nel momento in cui decidiamo di riguardare dentro il sepolcro della nostra vita passata, ci accorgiamo della fatica più grossa, che è proprio quella di rileggere tutto, di riguardarci dentro, e allora ci chiediamo: chi ci darà una mano? "Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?": se lo chiesero anche Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e Salòme, quel primo giorno dopo il sabato, di buon mattino al levare del sole. Certo, queste cose si fanno al mattino quando si è ancora freschi e volenterosi: la sera è troppo vicina alla notte, e il buio non è certo il momento migliore per rivangare il passato, per nessuno, perché gli scheletri fanno ancora più paura.
Ma rimane il problema della grossa pietra...chi la farà rotolare via dal sepolcro? Puoi star lì a ripensare tutte le belle teorie che vuoi, sul tuo passato, ma se non hai ancora trovato il modo di rotolare via la pietra da quel sepolcro che è la tua vita, serve a poco. E serve a poco anche camminare a testa bassa, chinando il capo pensieroso, credendo così di trovare una risposta. Invece, devi fare come le donne nei pressi della tomba di Gesù Nazareno: alzare lo sguardo. Ti accorgerai che la pietra è già stata fatta rotolare, benché molto grande. Qualcuno ci ha già pensato per te, qualcuno ti ha già dato una mano, qualcuno ha giocato d'anticipo. Qualcuno ti ha preceduto.
C'è sempre qualcuno che fa le cose per te, che giunge prima di te, che ti toglie le castagne dal fuoco ancor prima che tu possa accorgerti che stanno bruciando. Lui ti precede.
Cercavi di mettere una pietra sopra il tuo passato? Lui lo ha fatto prima di te. Hai provato a risollevare nuovamente la pietra per cercare di capirci qualcosa in tutto ciò che è successo? Lui lo ha fatto prima di te. Vuoi provare a ricominciare da capo, da dove tutto era iniziato e dove tu ti sentivi felice? Lui lo ha fatto prima di te, ti precede in Galilea.
Adesso, però, occorre smetterla di essere titubanti e indecisi; occorre smetterla di avere paura. Occorre camminare con lo sguardo alto, perché non c'è più nulla di cui avere paura. Lui ha vinto la morte, e noi con lui, perché in quel sepolcro ci siamo scesi entrambi, lui e noi: e "se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui", perché "la morte non ha più potere su di lui".

DALL\'«OMELIA SULLA PASQUA» DI MELITONE DI SARDI"L\'AGNELLO IMMOLATO CI TRASSE DALLA MORTE ALLA VITA"

(Capp. 2-7; 100-103; SC 123, 60-64. 120-122
    Prestate bene attenzione, carissimi: il mistero della Pasqua è nuovo e antico, eterno e temporale, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale. Antico secondo la legge, nuovo secondo il Verbo; temporaneo nella figura, eterno nella grazia; corruttibile per l\'immolazione dell\'agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sua sepoltura nella terra, immortale per la sua risurrezione dai morti.
    La legge è antica, ma il Verbo è nuovo; temporale è la figura, eterna la grazia; corruttibile l\'agnello, incorruttibile il Signore, che fu immolato come un agnello, ma risorse come Dio.
    «Era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53, 7).
    La similitudine è passata ed ha trovato compimento la realtà espressa: invece di un agnello, Dio, l\'uomo-Cristo, che tutto compendia.
    Perciò l\'immolazione dell\'agnello, la celebrazione della Pasqua e la scrittura della legge ebbero per fine Cristo Gesù. Nell\'antica legge tutto avveniva in vista di Cristo. Nell\'ordine nuovo tutto converge a Cristo in 
una forma assai superiore.
    La legge è divenuta il Verbo e da antica è fatta nuova, ma ambedue uscirono da Sion e da Gerusalemme. Il precetto si mutò in grazia, la figura in verità, l\'agnello nel Figlio, la pecora nell\'uomo e l\'uomo in Dio.
    Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, risuscitò dai morti e gridò questa grande parola: Chi è colui che mi condannerà? Si avvicini a me (Is 50, 8). Io, dice, sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l\'inferno, che ho imbrigliato il forte e ho elevato l\'uomo alle sublimità del cielo; io, dice, sono il Cristo.
    Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l\'Agnello immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi innalzerò con la mia destra.

Mons. F. Accrocca: SABATO SANTO, LA NOTTE DELLE NOTTI. IL RITO DELLA BENEDIZIONE DEL FUOCO, SEGNO DELLA RESURREZIONE

Come il fuoco illumina la notte e scalda, così il fuoco interiore, il fuoco dello Spirito Santo, deve illuminare le nostre tenebre e accendere in noi il desiderio delle cose celesti
Nei giorni del venerdì e del sabato santo, la Chiesa non celebra l’eucaristia: sono i giorni del digiuno nei quali lo Sposo le è tolto (Mt 9,15). Il sabato santo, la Chiesa si ferma presso il sepolcro del Signore, meditandone la passione e morte, segno efficace di un Amore che non conobbe limiti (“li amò – dice san Giovanni – sino alla fine”: Gv 13,1), preparandosi però a celebrare, nella notte, la grande Veglia pasquale, “madre di tutte le veglie” (sant’Agostino). Questa, per una tradizione antichissima, è “la notte di veglia in onore del Signore” (Es 12,42). I fedeli porteranno in mano la fiaccola – secondo l’ammonizione del Maestro (Lc 12,35ss) – per somigliare a coloro che, fedeli al vangelo, attendono vigili il ritorno del Signore.
La celebrazione del lucernario iniziale è particolarmente suggestiva: la chiesa è vuota, completamente al buio; le tenebre, discese sulla terra durante le ultime ore di vita del Salvatore, sembrano prevalere. Fuori della chiesa è acceso un fuoco divampante, dal quale il sacerdote accenderà il nuovo cero pasquale. Dopo il saluto, il sacerdote rivolge un’esortazione ai presenti, quindi benedice il fuoco con queste parole: “O Padre, che per mezzo del tuo Figlio ci hai comunicato la fiamma viva della tua gloria, benedici questo fuoco nuovo. Fa’ che le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo, e ci guidino, rinnovati nello spirito, alla festa dello splendore eterno. Per Cristo nostro Signore”.
Come il fuoco illumina la notte e scalda, così il fuoco interiore, il fuoco dello Spirito Santo, deve illuminare le nostre tenebre e accendere in noi il desiderio delle cose celesti: “Se siete risorti con Cristo – esclama l’Apostolo – cercate le cose di lassù” (Col 3,1). Entrando in chiesa, spenderà solo la luce del cero pasquale: i presenti porteranno in mano una candela, ma questa sarà spenta; poi dopo la proclamazione di “Cristo, luce del mondo”, dal cero, segno del Cristo risorto, la luce raggiungerà le candele dei presenti: progressivamente, la luce del Risorto si diffonde e dirada le tenebre, il Cristo che era morto, ora vivo trionfa. “Questa è la notte – canterà il diacono o il cantore con le parole dell’Exultet, il grande annuncio pasquale – in cui Cristo ha distrutto la morte e dagli inferi risorge vittorioso”.
Il fuoco che viene benedetto nella notte del sabato santo c’invita dunque ad accenderci di desiderio per le cose celesti, vale a dire per il Vangelo annunciato da Cristo e per i beni che esso promette. Francesco, che nutriva per il fuoco un amore grande, nel suo Cantico di frate sole diceva che per esso il Signore illumina la notte. Faceva riferimento certamente alla luce materiale, ma certo era ben cosciente anche del fatto che solo il fuoco interiore dello Spirito Santo può illuminare le tenebre del nostro cuore, soprattutto nei momenti tempestosi e di caligine spirituale, quando ci sembra di veder tutto nero, quando nulla sembra girare più per il verso giusto e quando siamo tentati dal male. È in quei momenti, soprattutto, che dobbiamo ricordarci della vittoria di Cristo: Egli ha vinto la morte, una volta e per sempre. Con lui possiamo vincere anche noi.
Mons. Felice Accrocca
Arcivescovo Benevento

venerdì 30 marzo 2018

San Giovanni della Croce: la grandezza del silenzio


 In questi giorno così importanti per l'intera cristianità, l'unico atteggiamento consono per assaporarne il senso e dare un senso alla nostra vita: è  SILENZIO!
Tacciano le voci, tacciano gli improvvisati investigatori di senso, tacciano i buonisti, tacciano gli ortodossi della religione....parli il Silenzio.
Il "mistero" di questi giorni si adora e poi lo si comprende; taccia chi non adora perché corre il rischio di allontanare dal Silenzio.
"Ma Gesù taceva" (Mt 26,63)
Scrive san Giovanni della Croce:
Il Silenzio è mitezza:
quando non rispondi alle offese
quando non reclami i tuoi diritti
quando lasci a Dio la difesa del tuo onore
Il Silenzio è magnanimità:
quando non riveli le colpe dei fratelli
quando perdoni senza indagare nel passato
quando invece di condannare intercedi
Il Silenzio è pazienza:
quando soffri senza lamentarti
quando non cerchi consolazioni fuori di Dio
quando non intervieni, ma attendi che il seme germogli
Il Silenzio è umiltà:
quando taci per lasciare emergere i fratelli
quando non chiedi plauso e riconoscimenti
quando lasci che il tuo agire possa essere male interpretato
quando dai ad altri il merito e la gloria dell’impresa
Il Silenzio è fede:
quando taci perché è Lui che agisce
quando rinunci alle voci del mondo
per stare alla sua presenza
quando non cerchi comprensione
perché ti basta essere capito e usato da Lui
Il Silenzio è saggezza:
quando ricorderai che dovremo rendere conto di ogni parola inutile
quando ricorderai che il diavolo è sempre in attesa di una tua parola imprudente per nuocere e uccidere
Infine il Silenzio è adorazione:
quando abbracci la Croce, senza chiedere il perché
nell’intima certezza che questa è l’unica Via giusta…

Don Luigi Maria Epicoco: Tutto ha inizio nel grembo di Maria

Tutto ha inizio nel grembo di Maria. 
Ora tutto finisce sul grembo di Maria. 
"Ora tu giaci attraverso, sul mio grembo, come una spada che mi oltrepassa. Ora te non posso più io partorire" (R.M.Rilke).
Ma ciò che non è più possibile a questa Madre, ora è possibile solo a Dio. In fondo glielo aveva già detto Gabriele quando davanti al suo spavento la rassicurò dicendole: "Nulla è impossibile a Dio". Forse è questo che tenta di ricordare oggi Maria tenendo tra le braccia il Figlio morto. 
Non è più compito nostro quello che accade dopo la Croce. Noi con le nostre forze potevamo arrivano solo fin sul Calvario. Potevamo solo deporre un cadavere e adagiarlo nelle braccia della Madre. 
Possiamo solo essere Giuseppe d'Arimmatea in questa storia. Ma non abbiamo nessun potere sulla morte. 
Lui si. 
Oggi è il giorno in cui è più difficile credere, perché tutto sembra perduto.
Ma a che cosa serve la fede se non a credere quando tutto sembra perduto?

Don Luigi Maria Epicoco: Ci ha lavato i piedi

Ci ha lavato i piedi perché è lì che rimane attaccata la strada che abbiamo percorso.
Ci ha lavato i piedi perché non bastava avere le mani pulite e il capo profumato, serviva anche lavare ciò che nessuno vede, ciò a cui nessuno pensa. 
Ci ha lavato i piedi perché diventasse indelebile la lezione più alta del Vangelo: che regnare è servire. 
Ci ha lavato i piedi per ricordarci di rimanere sempre con i piedi per terra. 
Ci ha lavato i piedi perché non avessimo più scuse per seguirlo. 
Ci ha lavato i piedi! Capite? CI HA LAVATO I PIEDI... 
Come non fermarsi a contemplare quel gesto che suscitò le proteste di Pietro, perché giustamente alle persone che ami vorresti sempre dare il meglio, ma invece chi ti ama ha una particolare predilezione per il tuo peggio. E se non ti arrendi come Pietro a consegnare il tuo peggio a Chi ti ama, allora non potrai nemmeno sedere a tavola.

giovedì 29 marzo 2018

Papa Francesco, udienza generale del 28 marzo

Il Triduo Pasquale
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei soffermarmi a meditare sul Triduo Pasquale che incomincia domani, per approfondire un po’ quello che i giorni più importanti dell’anno liturgico rappresentano per noi credenti. Vorrei farvi una domanda: quale festa è la più importante della nostra fede: il Natale o la Pasqua? La Pasqua perché è la festa della nostra salvezza, la festa dell’amore di Dio per noi, la festa, la celebrazione della sua morte e Risurrezione. E per questo io vorrei riflettere con voi su questa festa, su questi giorni, che sono giorni pasquali, fino alla Risurrezione del Signore. Questi giorni costituiscono la memoria celebrativa di un grande unico mistero: la morte e la risurrezione del Signore Gesù. Il Triduo ha inizio domani, con la Messa della Cena del Signore e si concluderà con i vespri della Domenica di Risurrezione. Poi viene la “Pasquetta” per celebrare questa grande festa: un giorno in più. Ma questo è post-liturgico: è la festa familiare, è la festa della società. Esso segna le tappe fondamentali della nostra fede e della nostra vocazione nel mondo, e tutti i cristiani sono chiamati a vivere i tre Giorni santi – giovedì, venerdì, sabato; e la domenica - si capisce -, ma il sabato è la risurrezione – i tre Giorni santi come, per così dire, la “matrice” della loro vita personale, della loro vita comunitaria, come hanno vissuto i nostri fratelli ebrei l’esodo dall’Egitto.
Questi tre Giorni ripropongono al popolo cristiano i grandi eventi della salvezza operati da Cristo, e così lo proiettano nell’orizzonte del suo destino futuro e lo rafforzano nel suo impegno di testimonianza nella storia.
La mattina di Pasqua, ripercorrendo le tappe vissute nel Triduo, il Canto della Sequenza, cioè un inno o una sorta di Salmo, farà udire solennemente l’annuncio della risurrezione; e dice così: «Cristo, nostra speranza, è risorto e ci precede in Galilea». Questa è la grande affermazione: Cristo è risorto. E in tanti popoli del mondo, soprattutto nell’Est Europa, la gente si saluta in questi giorni pasquali non con “buongiorno”, “buonasera” ma con “Cristo è risorto”, per affermare il grande saluto pasquale. “Cristo è risorto”. In queste parole - “Cristo è risorto” - di commossa esultanza culmina il Triduo. Esse contengono non soltanto un annuncio di gioia e di speranza, ma anche un appello alla responsabilità e alla missione. E non finisce con la colomba, le uova, le feste – anche se questo è bello perché è la festa di famiglia - ma non finisce così. Incomincia lì il cammino alla missione, all’annuncio: Cristo è risorto. E questo annuncio, a cui il Triduo conduce preparandoci ad accoglierlo, è il centro della nostra fede e della nostra speranza, è il nocciolo, è l’annuncio, è - la parola difficile, ma che dice tutto -, è il kerygma, che continuamente evangelizza la Chiesa e che essa a sua volta è inviata ad evangelizzare.
San Paolo riassume l’evento pasquale in questa espressione: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Cor 5,7), come l’agnello. È stato immolato. Pertanto - continua - «le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,15). Rinate. E per questo, nel giorno di Pasqua dall’inizio si battezzava la gente. Anche la notte di questo sabato io battezzerò qui, a San Pietro, otto persone adulte che incominciano la vita cristiana. E incomincia tutto perché saranno nate di nuovo. E con un’altra formula sintetica spiega San Paolo che Cristo «è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). L’unico, l’unico che ci giustifica; l’unico che ci fa rinascere di nuovo è Gesù Cristo. Nessun altro. E per questo non si deve pagare nulla, perché la giustificazione – il farsi giusti – è gratuita. E questa è la grandezza dell’amore di Gesù: dà la vita gratuitamente per farci santi, per rinnovarci, per perdonarci. E questo è il nocciolo proprio di questo Triduo Pasquale. Nel Triduo Pasquale la memoria di questo avvenimento fondamentale si fa celebrazione piena di riconoscenza e, al tempo stesso, rinnova nei battezzati il senso della loro nuova condizione, che sempre l’Apostolo Paolo esprime così: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, […] e non…quelle della terra» (Col 3,1-3). Guardare in alto, guardare l’orizzonte, allargare gli orizzonti: questa è la nostra fede, questa è la nostra giustificazione, questo è lo stato di grazia! Per il Battesimo, infatti, siamo risorti con Gesù e siamo morti alle cose e alla logica del mondo; siamo rinati come creature nuove: una realtà che chiede di diventare esistenza concreta giorno per giorno.
Un cristiano, se veramente si lascia lavare da Cristo, se veramente si lascia spogliare da Lui dell’uomo vecchio per camminare in una vita nuova, pur rimanendo peccatore – perché tutti lo siamo - non può più essere corrotto, la giustificazione di Gesù ci salva dalla corruzione, siamo peccatori ma non corrotti; non può più vivere con la morte nell’anima, e neanche essere causa di morte. E qui devo dire una cosa triste e dolorosa… Ci sono i cristiani finti: quelli che dicono “Gesù è risorto”, “io sono stato giustificato da Gesù”, sono nella vita nuova, ma vivo una vita corrotta. E questi cristiani finti finiranno male. Il cristiano, ripeto, è peccatore – tutti lo siamo, io lo sono – ma abbiamo la sicurezza che quando chiediamo perdono il Signore ci perdona. Il corrotto fa finta di essere una persona onorevole, ma, alla fine nel suo cuore c’è la putredine. Una vita nuova ci dà Gesù. Il cristiano non può vivere con la morte nell’anima, neanche essere causa di morte. Pensiamo – per non andare lontano – pensiamo a casa, pensiamo ai cosiddetti “cristiani mafiosi”. Ma questi di cristiano non hanno nulla: si dicono cristiani, ma portano la morte nell’anima e agli altri. Preghiamo per loro, perché il Signore tocchi la loro anima. Il prossimo, soprattutto il più piccolo e il più sofferente, diventa il volto concreto a cui donare l’amore che Gesù ha donato a noi. E il mondo diventa lo spazio della nostra nuova vita da risorti. Noi siamo risorti con Gesù: in piedi, con la fronte alta, e possiamo condividere l’umiliazione di coloro che ancora oggi, come Gesù, sono nella sofferenza, nella nudità, nella necessità, nella solitudine, nella morte, per diventare, grazie a Lui e con Lui, strumenti di riscatto e di speranza, segni di vita e di risurrezione. In tanti Paesi - qui in Italia e anche nella mia patria - c’è l’abitudine che quando il giorno di Pasqua si sentono, si ascoltano le campane, le mamme, le nonne, portano i bambini a lavarsi gli occhi con l’acqua, con l’acqua della vita, come segno per poter vedere le cose di Gesù, le cose nuove. In questa Pasqua lasciamoci lavare l’anima, lavare gli occhi dell’anima, per vedere le cose belle, e fare delle cose belle. E questo è meraviglioso! Questa è proprio la Risurrezione di Gesù dopo la sua morte, che è stato il prezzo per salvare tutti noi.
Cari fratelli e sorelle, disponiamoci a vivere bene questo Triduo Santo ormai imminente – comincia domani -, per essere sempre più profondamente inseriti nel mistero di Cristo, morto e risorto per noi. Ci accompagni in questo itinerario spirituale la Vergine Santissima, che seguì Gesù nella sua passione – Lei era lì, guardava, soffriva… - fu presente e unita a Lui sotto la sua croce, ma non si vergognava del figlio. Una madre mai si vergogna del figlio! Era lì, e ricevette nel suo cuore di Madre l’immensa gioia della risurrezione. Lei ci ottenga la grazia di essere interiormente coinvolti dalle celebrazioni dei prossimi giorni, perché il nostro cuore e la nostra vita ne siano realmente trasformati.
E nel lasciarvi questi pensieri, formulo a tutti voi i più cordiali auguri di una lieta e santa Pasqua, insieme con le vostre comunità e i vostri cari.
E vi consiglio: la mattina di Pasqua portate i bambini al rubinetto e fategli lavare gli occhi. Sarà un segno di come vedere Gesù Risorto.

Enzo Bianchi: Maria di Magdala, apostola degli apostoli


Ancora un interessante contributo su Maria Maddalena, questa volta di Enzo Bianchi. 

Josè Maria Castillo: Siamo disposti a cambiare?

Vi invito a leggere questo articolo . Dopo averlo letto ricordate che la sintesi è la virtù dei "sapienti"...

mercoledì 28 marzo 2018

Osservatore Romano: Maria Maddalena secondo il Card. Martini. La cetegoria dell'eccesso


Un'interessantissimo articolo de "L'Osservatore Romano" del 17/7/2017, incentrato sulla figura di Maria Maddalena, personaggio biblico di cui molto si è discusso in quest'ultimo periodo, purtroppo non sempre in modo rispettoso e del Vangelo e della stessa Maddalena.
Credo che bisogna smettere, se si vuol essere "onesti", di ipotizzare qualsiasi azzardata ipotesi sui personaggi biblici se non si hanno prove probanti di quanto si vuole affermare. 

L’eccesso è per Martini la “categoria” che ci consente non solo di comprendere il mistero di Dio adombrato nella passione, morte e risurrezione di Gesù, ma ciò che esprime il senso profondo dell’essere cristiano, della maturità cristiana.

martedì 27 marzo 2018

Don Mauro Leonardi: La riforma della Chiesa e l'invito del Papa ai giovani di gridare

"La riforma della Chiesa e della Curia, promette il Papa, andrà avanti. Perché la stoltezza di tacere, di conservare il "si è sempre fatto così", è la follia peggiore perché, sembrando saggia e prudente..."


Di seguito il contributo di don Mauro Leonardi su quanto detto dal Papa rivolgendosi ai giovani impegnati nel cammino di preparazione al prossimo sinodo

lunedì 26 marzo 2018

Johan Sebastian Bach: Signore dolce volto

Domenica delle Palme e della Passione del Signore
Cappella Papale - Benedizione delle Palme, Processione e Santa Messa
Piazza San Pietro, 24 marzo 2013

Don Alberto Brignoli: il bello del sacrificio

Don Alberto Brignoli, sacerdote fidei donum in Bolivia, collaboratore con Missio e con la CEI, attualmente parroco nella diocesi di Bergamo

Viviamo in una cultura che non conosce il concetto di sacrificio, o che comunque, pur conoscendolo, non lo accetta, non ne vuole sentire parlare. Sacrificare se stessi e la propria vita per un ideale, per uno scopo, oppure per fare in modo che altri beneficino del sacrificio è considerato qualcosa di anacronistico, di fuori dal tempo. Certo, non sono anacronistiche né fuori dal nostro tempo, purtroppo, le notizie relative a chi sacrifica la propria vita facendosi esplodere nel terminal di un aeroporto, nelle prossimità di uno stadio, all'interno di uno spazio musicale giovanile o nelle buie e intrappolate stazioni della metropolitana: ma è evidente che in quelle assurde e deliranti scelte di comportamento il sacrificio di sé assume una dimensione farneticante, disumana e diabolica, perché non è guidato dalla dimensione più bella che il sacrificio porta con sé, quella di generare amore nei confronti degli altri. Se il sacrificio di sé non ha come obiettivo il bene degli altri, l'amore per l'altro, è un sacrificio senza alcun senso, una sorta di suicidio consapevole e deliberato che non produce frutto se non quello di generare l'esatto contrario dell'amore, cioè la violenza, il terrore e la morte.
Quello che celebriamo oggi è, per noi cristiani, il Sacrificio per eccellenza: il sacrificio di Cristo sulla croce. Un sacrificio che storicamente per il popolo ebraico ricorda il sacrificio dell'Agnello Pasquale dell'Esodo, il cui sangue sul legno degli stipiti delle porte era figura, profezia del sangue che avrebbe imbevuto il legno della croce. Come, infatti, il sacrificio dell'Agnello sacrificato da Mosè e dal popolo la notte dell'uscita dall'Egitto evitò che l'Angelo della Morte colpisse le case degli ebrei, così il sangue dell'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo evitò che la Morte si impadronisse delle nostre vite per l'eternità. Un gesto d'amore, non c'è che dire; un gesto che ha generato vita. Anzi, possiamo dire che fu un gesto d'amore proprio perché ha generato vita, e - viceversa - che generò vita perché fu un gesto d'amore. Amore e vita coincidono: l'amore genera vita, la vita genera amore. Ma ciò che più colpisce (e che forse si coglie a fatica) è che, a partire da quel venerdì a Gerusalemme sul Calvario, questo avviene attraverso un Sacrificio, ovvero attraverso una morte di sé accettata e donata volontariamente. È un mistero che si coglie a fatica, dicevo, eppure non è poi così raro e infrequente come crediamo, né tanto meno anacronistico. Certo, fa meno notizia del sacrificio suicida di chi si fa esplodere per generare morte.
Ci costa, dire che un sacrificio di sé, anche se finalizzato a dare vita e amore, porta dentro una dimensione di bellezza, ancor più quando la Liturgia della Parola di oggi ci dice che "non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere". Ma la bellezza di un sacrificio non sta certo nella dimensione estetica con la quale riempiamo le pagine dei social network per farci vedere attraenti, atletici, accattivanti, seducenti e - dobbiamo riconoscerlo - sempre più vuoti dentro... La bellezza di un sacrificio sta nella bellezza del frutto che esso produce, e le pagine di storia della vita di ogni giorno ne sono piene, a volte senza neppure fare notizia.
E così, è bello il frutto del sacrificio di Sofia, morta a soli diciotto mesi per una passeggiata con la nonna finita tragicamente, ma rifiorita nel dono dei propri organi vitali, concessi dai genitori perché un'altra piccola creatura potesse tornare a vivere; è bello il frutto di quelle mamme (non poche, tra l'altro) che, malate di cancro in gravidanza, rifiutano di farsi curare, sacrificando la propria esistenza, pur di non mettere a repentaglio la vita che portano in grembo; è bello il frutto di un padre profugo che, naufrago su un barcone della disperazione, si sacrifica per tenere a galla il figlioletto di pochi mesi, finché giunga a salvo sulla riva.
Ma, molto più quotidianamente e ordinariamente vicino a noi, è bello il sacrificio di una madre che, rimasta sola per un matrimonio andato male, non fa calcoli di tempo ed energie, e lavora dentro e fuori casa pur di assicurare un futuro sereno ai figli rimasti con lei; è bello il sacrificio di un padre che si alza di buon mattino, quando è ancora buio ,per mettersi alla guida del suo camion o della sua auto e iniziare a macinare chilometri fino a sera inoltrata, per riuscire, con qualche ora di lavoro in più, a far quadrare il bilancio in famiglia e permettere così ai figli di concludere quell'università che lui non ha mai potuto fare; è bello il sacrificio di uno studente che non accetta di dover essere sempre di peso ai suoi genitori, e occupa le serate dei suoi giorni di studio lavando i piatti o servendo a tavola in un ristorante fino a notte inoltrata, rispetto a tanti suoi coetanei che rientrano anch'essi a notte fonda, sì, ma per motivi molto meno nobili; è bello il sacrificio di due nonni che, invece di godersi legittimamente la vecchiaia con qualche gita dopo una vita di duro lavoro, si mettono a servizio dei figli per aiutarli a gestire i nipoti piccoli, spesso non senza fatiche fisiche e morali.
È bello per noi sapere che ci sono sacrifici affrontati per amore, vissuti per un ideale, sopportati per far felici gli altri; ma credo sia ancor più bello per loro sapere che, loro malgrado e spesso a loro insaputa, stanno perpetuando lungo la storia il più grande dei sacrifici, quello di Dio per l'umanità. In loro, nelle loro semplici e umili vicende, spesso zittite da fatti di cronaca drammatici e violenti, si fa concreto, giorno dopo giorno, in ogni angolo della terra, il sacrificio di Cristo sulla croce; in loro, nella bellezza dei loro gesti, si realizza pure la Resurrezione.
Apriamo bene gli occhi, perché questi esempi vivono fuori dalla porta di casa nostra, e spesso nemmeno ce ne accorgiamo.

Alda Merini: Poesie alla Madre di Dio

(Alda Merini)

La Madre,
quella che come me
mangiò la terra del manicomio credendola pastura divina,
quella che si legò ai piedi del figlio
per essere trascinata con lui sulla croce e ne venne sciolta
perché continuasse a vivere nel suo dolore.

Potevano uccidere anche Maria,
ma Maria venne lasciata libera di vedere
la disfatta di tutto il suo grande pensiero.
Ed ecco che Dio dalla croce guarda la madre,
ed è la prima volta che così crocifisso
non la può stringere al cuore,
perché Maria spesso si rifugiava in quelle braccia possenti,
e lui la baciava sui capelli e la chiamava «giovane»
e la considerava ragazza.
Maria, figlia di Gesù
Maria non invecchiò mai,
rimase col tempo della croce
nei suoi lunghi capelli
che le coprivano il volto.

«lo credo, madre,
che qualsiasi senso del cuore
sia dentro il tuo sguardo.
Come Figlio di Dio sono un bambino felice,
come Gesù sono colui che camminerà con te
sulle acque dell’incredulità.
Io, madre, ho visto il tuo seno pieno d’obbedienza
e bianco come il tuo pensiero.
E io so che l’amore di Dio è impalpabile
come le ali di una farfalla.
Io ho creduto, madre, al tuo volto,
ma ho anche creduto al Padre.
Non potrebbe ingiuriarti nessuno
al di fuori di quella voce
che ti ha percossa come un nubifragio:
l’addio del messaggero celeste.»

«Quante lacrime, madre, su quella tua
visitazione.
È stato un lavacro per tutti i peccati degli uomini,
e solo Giuseppe ha creduto che il tuo mantello
contenesse tanto dolore.
Non ti ha mai levato di dosso quel mantello di luce,
Maria,
con cui Dio ti ha coperta
per non far vedere
che le tue spalle tremavano d’amore.
Ma io, Maria, credo in te,
e credendo in te
credo in Lui.»

(Tratto da: Poema della croce (Frassinelli, 2004)
in foto Madonna del Perugino (particolare)

Sergio Massironi, Osservatore Romano: chiamati ad essere santi.

Comprendere il nuovo senso della chiamata vocazionale a tutto tondo, tenendo conto delle nuove dinamiche sociali che ci caratterizzano. Partendo dalla nuova comprensione di se stessi, come rispondere alla chiamata di Dio ad una vita santa? Quali possono essere le attualizzazioni moderne rispetto a fedeltà senza limiti di tempo? 
Vocazione è parola usurata, ma irrinunciabile al lessico cristiano. Essa rinvia alla genesi stessa della Chiesa, che non nasce attorno a un’idea, ma in un dinamismo d’incontri. Forse il primo capitolo di Giovanni è il luogo biblico più limpido in tal senso, laddove la chiamata genera chiamata, la sorpresa diventa passaparola, il reciproco invitarsi mobilita e dischiude una casa: si fermarono presso di lui. Occorre tener vivo, nel necessario modificarsi del linguaggio, il senso relazionale di vocazione. 


Don Valentino Savoldi: anche Giuda amava Gesù


Contributo del prof. Valentino Savoldi (Valentino Salvoldi presbitero, scrittore,teologo morale, missionario Fidei donum, pubblicista, e docente universitario italiano). 
Per alcuni potrebbe sembrare una forzatura, per altri una nuova chiave di lettura per comprendere chi erano i primi chiamati da Gesù.

Indubbiamente un articolo che ha un validissimo fondamento biblico-teologico, molto pregnante, condiviso da altri autorevoli teologi di cui ho letto interventi sullo stesso tema.
Dobbiamo allargare il nostro orizzonte culturale per non restare "ingenui" e facilmente "impressionabili".
Buona lettura

Mimma de Maio: dalla Legge all'Amore

Ecco un interessante contributo teologico, forse non alla portata di tutti, ma sicuramente da leggere per chi volesse assaporare un messaggio un pò più corposo della prof. Di Maio
(Insegnante. Studiosa di storia, filosofia e letteratura. Hobby: la storia locale. Ama scrivere. Tre figli adulti. Tutto il suo impegno non ha scopo di profitto economico. Si dedica al volontariato culturale. Ha fondato il Centro Studi di Storia Locale presso la Biblioteca Comunale di Solofra (Avellino) di cui è Direttrice onoraria.)

"Narra Matteo che Gesù, portando il suo messaggio e la buona novella di un Dio che tutti ama, raccoglieva intorno a se numerose folle, che lo seguirono dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano (Mt 4,25).
Già queste prime indicazioni ci dicono come questo annunzio di salvezza e amore fosse per tutta l’umanità, anche pagana, e non solo per il popolo eletto di Israele.
Quando parliamo di Dio usiamo quasi sempre immagini e concetti tratti dal Vecchio Testamento, in cui Dio si mostra spesso giudice severo delle colpe degli uomini e mai lo accostiamo invece a quello che Gesù ci presenta e mostra nel Nuovo Testamento...."



domenica 25 marzo 2018

Enzo Bianchi: dal commento alla Domenica della Passione (delle Palme)

“Senza bellezza né splendore, e appesa alla croce, va adorata la Verità”. (Monaco del XII sec.)

...Gesù ha concluso la sua esistenza così come l’aveva sempre spesa: nella libertà e per amore di Dio e di tutti gli esseri umani! Affinché ciò fosse chiaro, Gesù ha anticipato profeticamente ai discepoli la sua passione e morte, spiegandola loro con un gesto capace di narrare l’essenziale di tutta la sua vicenda: pane spezzato, come la sua vita lo sarebbe stata di lì a poco; vino versato nel calice, come il suo sangue sarebbe stato sparso in una morte violenta...

...Lo scandalo della croce permane in tutta la sua durezza e non va attutito, ma il segno eucaristico, memoriale della vita, passione e morte di Gesù, sarà capace di radunare di nuovo i discepoli intorno al Cristo Risorto. La comunità dei discepoli di Gesù potrà così attraversare la storia e giungere fino a noi, senza temere di affrontare anche le ore buie e le crisi: il suo Signore l’ha infatti preceduta anche in queste prove, vivendole nella libertà e per amore...


sabato 24 marzo 2018

Un nuovo blog o un blog nuovo?


Glorioso e potente Signore,
che alterni i ritmi del tempo,
irradi di luce il mattino
e accendi di fuochi il meriggio,



tu placa le tristi contese,
estingui la fiamma dell'ira,
infondi vigore alle membra,
ai cuori concedi la pace.

Sia gloria al Padre ed al Figlio,
sia onore al Santo Spirito,
all'unico e trino Signore
sia lode nei secoli eterni. Amen
 (Dalla liturgia delle Ore, Inno dell'ora Sesta, III settimana del salterio, Tempo Ordinario, Venerdì)


Il Signore vi dia Pace!
Inizia l'avventura di questo nuovo blog, che vuole essere un punto di partenza (speriamo con continuità) di qualcosa di nuovo, al servizio di chi è alla ricerca di quella Parola che dia senso alla propria esistenza.
Il mio intento è quello di voler porre all'attenzione di chi legge articoli, riflessioni, scritti sui quali poter riflettere, meditare, pregare, per poi tradurre il tutto in vita vissuta. A tal proposito, oltre a fare in prima persona questa ricerca, propongo la vostra collaborazione nel segnalarmi riflessioni o articoli che abbiano questo scopo: "l'edificazione vicendevole"; dopo averli attentamente valutati, li pubblicherò se corrisponderanno pienamente al fine proposto.
Potrebbe essere questo uno strumento per diffondere la "buona Parola", facendo cultura religiosa e alimentando la nostra vita spirituale.
Per poter partecipare basta iscriversi lasciando la propria email in alto a destra dove trovate scritto "follow by email". Dopo aver scritto la vostra mail cliccate submit, vi apparirà una schermata dove dovrete cliccare al centro dove vi chiede di confermare che non siete "un robot", fatto questo riceverete una mail di conferma sulla quale dovrete cliccare per completare definitivamente l'iscrizione. Ad ogni aggiornamento, avrete una mail di avviso. Nel caso voleste segnalare qualche articolo, lo farete usando lo spazio dedicato ai "contatti" e nel commento indicherete il link dell'articolo (o altro) che vorrete segnalare.
Vorrei davvero che questo fosse uno strumento che aiuti tutti a "placare le tristi contese" e trovare "armonia e pace" con se stessi, con gli altri, con il creato.
Inizierò a pubblicare quando sarò più pratico nell'utilizzo di questo mezzo di comunicazione per me così nuovo, intanto, se volete, condividete questo blog con chi può essere interessato.
Prego che il Padre benedica tutti nel nome del Suo Figlio divino. 
P. Paolo

Proposte dei giovani al termine del convegno pre Sinodo

VOGLIAMO UNA CHIESA MENO MORALISTA CHE AMMETTA I SUOI ERRORI
Pubblicato il documento finale pre-Sinodo dei 300 giovani riuniti a Roma
Ecco alcuni punti essenziali del documento

Istruzioni per l'iscrizione


Carissimi, per poter ricevere la mail di avviso aggiornamento del blog, bisogna essere iscritti. Come già spiegato nel primo post di apertura del blog, la procedura è la seguente:
  • scrivere la propria mail in alto a dx nell'apposita casella email address;
  • confermare cliccando su submit;
  • si aprirà una finestra con la dicitura "email subscription request", bisogna cliccare e far apparire la spunta verde dove c'è scritto "non sono un robot";
  • dopo aver fatto questo riceverete una mail. In questa mail vi sarà chiesto di confermare l'iscrizione cliccando su quel testo in blu preceduto da "https". Cliccandoci sopra confermerete la vostra iscrizione al blog e sarete avvisati dell'aggiornamento dello stesso;
  • Fino a quando non riceverete questa mail di conferma non siete iscritti al blog, ciò sta a significare che qualche passaggio non è stato fatto correttamente.
Spero di aver risposto alla vostra richiesta. Buona settimana santa P. Paolo

A. Maggi: Elogio della debolezza

Le scelte di Dio vanno da sempre in direzione contraria a quelle degli uomini, poiché il suo è uno sguardo differente. Il Signore valorizza quel che gli uomini disprezzano, fa fiorire la vita là dove sembra ci siano solo rovine, e quel che il mondo scarta il Creatore lo adopera per realizzare il suo progetto sulla creazione (“La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo”, Sal 118, 22).

Paolo, l’apostolo che aveva fatto della debolezza la sua forza (“quando sono debole, è allora che sono forte”, 2 Cor 12,10), aveva ben compreso la strategia di Dio e l’aveva così formulata: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (1 Cor 1,27-28).

La logica di Dio non è quella degli uomini. Per questo, da sempre il Signore ha chiamato, per realizzare le sue imprese, quelle persone che nessun uomo sano di mente avrebbe mai scelto. La storia della salvezza è infatti l’incredibile elezione di uomini chiamati a svolgere ruoli per i quali erano chiaramente inadatti e che Dio ha invece scelto perché i suoi criteri sono diversi (“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”, Is 55,8-9).

Se fossero stati gli uomini a dover selezionare la coppia che avrebbe dovuto dare origine a un popolo nuovo, il popolo del Signore, indubbiamente avrebbero scelto un uomo e una donna giovani, robusti, belli. Non così il Signore, che sceglie un vecchietto novantanovenne, per di più con una moglie sterile, causando tra l’altro il riso dei prescelti (“Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?… Allora Sara rise dentro di sé e disse: Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!”, Gen 17,17; 18,12). I prescelti ridono, il Dio, che non conosce la parola “impossibile”, no: “C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?” (Gen 18,14).

Quando per le vicissitudini della storia questo popolo, nato da due vegliardi, sarà ridotto in schiavitù, il Signore deve scegliere un liberatore. L’impresa non è facile, perché l’oppressore non è un uomo, ma il faraone, il re di natura divina, e la potente nazione che trattiene gli ebrei in schiavitù è uno dei più grandi imperi mai apparsi sulla faccia della terra. Chi mai avrebbe scelto per questa temibile impresa un fuggitivo ricercato per omicidio? (Es 2,11-15). E se il passato di Mosè non è un problema per Dio, il prescelto, balbuziente, ritiene di essere inadatto a questo ruolo, che rifiuta decisamente: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua”. (Es 4,10). Ma ancora una volta la forza del Signore supplisce la debolezza dell’uomo: “Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire” (Es 4,12).

Anche quando il popolo ha bisogno di un re, le scelte di Dio sono singolari. Inviato dal Signore a Betlemme, in casa di Jesse, per scegliersi il re tra i suoi figli, il profeta Samuele li passa tutti in rassegna, e quando Jesse gli presenta con orgoglio il suo primogenito, Eliàb, giovane, alto e attraente, il profeta fu certo che fosse questi il prescelto da Dio. Invece no, il Signore avvertì Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1 Sam 16,7). E il Signore scartò anche il secondogenito, il terzogenito, e tutti i figli che Jesse aveva radunato. A dire il vero ce n’era ancora uno, che non era stato convocato con gli altri, in quanto troppo giovane, adatto solo per pascolare il gregge. Ma la scelta di Dio cadde proprio su di lui, David, e il figlio scartato sarà il re del suo popolo.

E l’inadeguatezza sembra essere stato il criterio di Dio nello scegliere i suoi profeti, cominciando da Geremia, troppo giovane per essere credibile (“Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane”, Ger 1,6). E Osea? Era risaputo che la moglie, una prostituta, lo tradiva ripetutamente, eppure il Signore scelse proprio lui per essere il profeta che doveva testimoniare al popolo un perdono più grande della colpa (Os 2). Per denunciare le malefatte della casta sacerdotale e della corruzione del culto, il Signore non chiamò un fine teologo, ma un rude pecoraio, Amos, che con il suo linguaggio schietto e per nulla diplomatico, suscitò l’ira furibonda dei sacerdoti che lo cacciarono dalla sua terra (Am 7,10-17). Per non parlare di Giona, che non aveva alcuna intenzione di fare il profeta, e invitato dal Signore di andare a predicare a Ninive la necessità della conversione, s’imbarcò in direzione contraria (Gn 1).

Le scelte di Gesù non sono da meno. Per la realizzazione del regno di Dio non si rivolse a pii farisei e devoti sacerdoti osservanti delle leggi divine, uomini di indiscussa moralità e rettitudine. No, Gesù nel gruppo dei dodici accolse persone inadeguate al compito e gli scarti della società. Chiamò Simone Pietro, il caparbio discepolo che lo rinnegherà, spergiurando (“Cominciò a imprecare e a giurare: Non conosco quell’uomo!”, Mt 26,74), e Giuda l’Iscariota, il traditore, che per denaro venderà il suo maestro; Giacomo e Giovanni, i due fanatici fratelli che per la loro ambizione rischieranno di far naufragare il gruppo di Gesù (Mc 10,35-41), e che saranno soprannominati “figli del tuono” (Mc 9,38) per la loro propensione a incenerire i nemici (“Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”, Lc 9,54). Gesù chiamò a seguirlo anche un intoccabile, Matteo, il pubblicano (Mt 9,9), uno spregevole individuo che per il suo mestiere era considerato un traditore del popolo e trasgressore di tutti i comandamenti, irrimediabilmente escluso dalla salvezza, impuro come era dalla radice dei capelli ai piedi. E non è finita: nel gruppo di Gesù sorprende trovare “Simone, detto Zelota” (Lc 6,15), ovvero un appartenente al partito armato che attraverso la violenza voleva accelerare la venuta del regno di Dio. Eppure proprio a questo gruppo di incostanti, testardi, infingardi, presuntuosi, che a parole erano pronti a morire con lui (Mt 26,35) e che invece “lo abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56), lasciandolo solo ad affrontare la morte, Gesù affiderà il mandato di trasmettere la buona notizia al mondo intero (Mt 28,19-20). Gesù non ha creato una comunità di puri, di perfetti, ma di persone che, coscienti della loro inadeguatezza e della loro fragilità, hanno sperimentato l’amore, la misericordia e il perdono e per questo sono capaci di testimoniare al mondo la tenerezza di Dio, l’unico linguaggio ovunque comprensibile.

venerdì 23 marzo 2018

Ermes Ronchi:«Davvero era figlio di Dio». La Croce capovolge la storia

In questa settimana santa, il ritmo dell'anno liturgico rallenta: sono i giorni del nostro destino e sembrano venirci incontro piano, ad uno ad uno, ognuno generoso di segni, di simboli, di luce. La cosa più bella che possiamo fare è sostare accanto alla santità delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. E deporre sull'altare di questa liturgia qualcosa di nostro: condivisione, conforto, consolazione, una lacrima. E l'infinita passione per l'esistente.
«Salva te stesso, scendi dalla croce, allora crederemo». Qualsiasi uomo, qualsiasi re, potendolo, scenderebbe dalla croce. Gesù, no.
Solo un Dio non scende dal legno, solo il nostro Dio. Perché il Dio di Gesù è differente: è il Dio che entra nella tragedia umana, entra nella morte perché là è risucchiato ogni suo figlio. Sale sulla croce per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. Perché l'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi è di essere con l'amato, unito, stretto, incollato a lui, per poi trascinarlo fuori con sé nel mattino di Pasqua. Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio. La croce è l'abisso dove Dio diviene l'amante. Dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa. L'ha capito per primo un estraneo, un soldato esperto di morte, un centurione pagano che formula il primo credo cristiano: costui era figlio di Dio. Che cosa ha visto in quella morte da restarne conquistato? Non ci sono miracoli, non si intravvedono risurrezioni. L'uomo di guerra ha visto il capovolgimento del mondo, di un mondo dove la vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha visto il supremo potere di Dio, del suo disarmato amore; che è quello di dare la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di sé. Ha visto sulla collina che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un altro modo di essere uomini. Come quell'uomo esperto di morte, anche noi, disorientati e affascinati, sentiamo che nella Croce c'è attrazione, e seduzione e bellezza e vita. La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, per morire d'amore. La nostra fede poggia sulla cosa più bella del mondo: un atto d'amore. Bello è chi ama, bellissimo chi ama fino all'estremo. La nostra fede poggia su di un atto d'amore perfetto. E Pasqua mi assicura che un amore così non può andare deluso.
Ermes Ronchi

Enzo Bianchi: silenzio e solitudine

Il coraggio per intraprendere il “viaggio interiore” centrato sull’ascolto, cui ti invitavo in un'altra lettera, non ti manca, mi dici, ma fatichi a concentrarti su questo sforzo: troppe cose ti distraggono di continuo.
Hai colto un problema centrale! Rientrare in se stessi significa anche entrare nel silenzio e nella solitudine. Cosa tutt’altro che facile questa, abituati come siamo a vivere insieme immersi nel rumore e nel continuo contatto con gli altri. E tuttavia il silenzio e la solitudine sono essenziali, di chiarificazione, di concentrazione. Ti sarà forse capitato di sperimentare come il ritirarsi da solo nel silenzio porti a “ sentire” il corpo in maniera diversa, più lucida e intensa, e porti anche a una coscienza più acuta del tempo. Quel tempo che normalmente fugge e vola via quando sei immerso nel quotidiano via vai e nelle molteplici attività, appare molto più lungo quando resti nel silenzio e nella solitudine. Oggi, come sai bene, i ritmi della vita sociale sono talmente velocizzati e stressanti che ci ritroviamo a correre per arrivare sempre in ritardo: più siamo impegnati, più abbiamo attività da svolgere e “cose da fare” e più ci sembra di essere vivi. Ma così rischiamo di dimenticare quell’arte della cura di noi stessi e della nostra interiorità che è essenziale per sapere chi siamo e perché facciamo quel che facciamo. Un po’ di lentezza, di tempo speso stando seduto in camera senza far nulla, semplicemente restando presente a te stesso, lasciando emergere le emozioni che si sedimentano in te, ti aiuta a ritrovare unità, a dare il nome ai sentimenti che provi, a esercitare la tua memoria nel ricordo. Questo ti aiuta soprattutto a entrare in una pacificazione e unificazione interiori da cui uscirai rinnovato e disponibile per le relazioni quotidiane.
Solitudine e silenzio sono il tempo delle radici, della profondità, in cui ricevi la forza per essere te stesso, per pensare, per coniare una parola tua che magari può essere in contrasto con quelle che tutti ripetono. Silenzio e solitudine sono dunque i mezzi privilegiati della vita interiore, che ti consentono di prendere confidenza con te stesso e di osare te stesso, anche a costo di arrivare a “cantare fuori dal coro”, a rompere con le logiche omologanti che tutto appiattiscono. Ti consentono di sfuggire alla superficialità e di dare profondità alle parole e senso alla relazioni. La solitudine, infatti, purifica lo sguardo che porti sugli altri. Se pensi agli altri quando sei da solo, scopri in essi un volto inedito, che ti sfugge quando stai fisicamente accanto a loro. Non è affatto vero che comunichi bene chi parla molto o sempre e che sia una persona capace di relazioni quella che vive continuamente in mezzo agli altri, senza mai concedersi un momento si stregua, di faccia a faccia con se stessa. Questo sarebbe uno scambiare la quantità con la qualità. È vero, invece, il contrario: la capacità di comunicazione e di relazione è proporzionale alla capacità di silenzio e solitudine. Ci guidano, infatti, a quella vita interiore che ci consente una signoria su di noi.
Vorrei spronarti a questo paziente lavoro su te stesso ricordandoti una storiella chassidica. Si narra che rabbi Sussja in punto di morte esclamò: «Nel giorno del giudizio non mi si chiederà: perché non sei stato Mosè ? Mi si chiederà invece: perché non sei stato Sussja». Sì, non solo al momento del giudizio, ma anche nel quotidiano della tua vita, ti viene chiesto conto non se hai o meno eguagliato grandi personaggi, ma se sei stato fedele a quello che sei, se hai saputo riconoscere e condividere il meglio di te stesso. Cerca allora di conquistarti spazi di solitudine e tempi di silenzio, ne trarrai giovamento tu stesso e, assieme a te, anche quelli che ti stanno intorno

Santa Marta. Papa: Dio ci ama, come una madre e un padre

Riflessione di Papa Francesco sul brano del vangelo di giovedì 22 marzo.
"Accostarsi al Sacramento della Penitenza non è come andare in tintoria a togliere le sporcizie"

Riflessioni ad alta voce

Ho fame? Devo mangiare
Ho sete? Devo bere
Ho freddo? Devo coprirmi
Ho voglia di rilassarmi? Devo trovare il tempo assolutamente
Ho voglia di vederti? Devo necessariamente incontrarti, costi quel che costi
Ho voglia di "non pensare"? Devo alienarmi
Ho bisogno di qualcosa? Devo provvedere necessariamente
Ho bisogno di Dio? Rimando....
Intelligenti pauca...A buon intenditor poche parole...

Rischio Nazareth Se la violenza ha il volto familiare.Gaetano Piccolo

Vi invito a leggere con attenzione questo articolo del P. Piccolo, gesuita.
Indubbiamente bisogna riflettere: chi sono i vicini e chi i lontani? A voli le altre riflessioni. Molte altre

giovedì 22 marzo 2018

Udienza Generale di Papa Francesco del 21/3/2018

     Carissimi vorrei segnalarvi alcuni passaggi dell'ultima Udienza Generale ( qui il link per il testo integrale che vi invito sempre a leggere) di Papa Francesco.
Il Papa usando la metafora della primavera dice:
"...Un albero, una pianta che non sono annaffiati dalla pioggia o artificialmente, possono fiorire bene? No. E un albero e una pianta che ha tolto le radici o che non ha radici, può fiorire? No. Ma, senza radici si può fiorire? No! E questo è un messaggio: la vita cristiana dev’essere una vita che deve fiorire nelle opere di carità, nel fare il bene. Ma se tu non hai delle radici, non potrai fiorire, e la radice chi è? Gesù! Se tu non sei con Gesù, lì, in radice, non fiorirai. Se tu non annaffi la tua vita con la preghiera e i sacramenti, voi avrete fiori cristiani? No! Perché la preghiera e i sacramenti annaffiano le radici e la nostra vita fiorisce. Vi auguro che questa primavera sia per voi una primavera fiorita, come sarà la Pasqua fiorita. Fiorita di buone opere, di virtù, di fare il bene agli altri Ricordate questo, questo è un versetto molto bello della mia Patria: “Quello che l’albero ha di fiorito, viene da quello che ha di sotterrato”. Mai tagliare le radici con Gesù...."

   Tutti dobbiamo sentire il desiderio di affondare le nostre "radici" in Gesù, come dinamica esistenziale senza la quale non potremo mai sentirci appartenenti e amati da Lui. Spesso diciamo: "Io Gesù non lo sento..., è lontano..., non percepisco la sua presenza...; ma ci siamo mai chiesti il perché? Forse perché lo vogliamo "sentire" nella nostra vita in una dimensione superficiale (in superficie). Mentre Lui risiede nelle profondità del nostro essere, lì dove risiede la nostra coscienza e la verità di noi stessi. Non possiamo più perdere tempo, Cristo ci chiama a seguirlo e ad innestarci in Lui. Sebbene riteniamo che la storia o la Chiesa ci abbiano ferito....Mai tagliare le radici con Gesù. Ritorniamo sui nostri passi e cerchiamo qualcuno che ci parli del vero volto di Cristo.

        Continuando le sue catechesi sulla celebrazione eucaristica aggiunge:
"...La celebrazione della Messa, di cui stiamo percorrendo i vari momenti, è ordinata alla Comunione, cioè a unirci con Gesù. La comunione sacramentale: non la comunione spirituale, che tu puoi farla a casa tua dicendo: “Gesù, io vorrei riceverti spiritualmente”. No, la comunione sacramentale, con il corpo e il sangue di Cristo. Celebriamo l’Eucaristia per nutrirci di Cristo, che ci dona sé stesso sia nella Parola sia nel Sacramento dell’altare, per conformarci a Lui. Lo dice il Signore stesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio  rimane in me e io in lui» (Gv 6,56). Infatti, il gesto di Gesù che diede ai discepoli il suo Corpo e Sangue nell’ultima Cena, continua ancora oggi attraverso il ministero del sacerdote e del diacono, ministri ordinari della distribuzione ai fratelli del Pane della vita e del Calice della salvezza."
       La comunione sacramentale. Che dono e che differenza allo stesso tempo come giustamente fa notare Francesco. Nutrirci corporalmente di Lui, questo è il mistero di grazia e di consolazione. Posso dire ad un bambino che vuole essere abbracciato, stretto forte, lo faccio "spiritualmente" o "virtualmente"? No! Sarebbe una risposta inadeguata e non rispondente a pieno a quanto ci viene richiesto. Così a Gesù che ti dice che vuole inabitare la tua vita non possiamo rispondere: "fallo virtualmente".
"Se siamo noi a muoverci in processione per fare la Comunione, noi andiamo verso l’altare in processione a fare la comunione, in realtà è Cristo che ci viene incontro per assimilarci a sé. C’è un incontro con Gesù! Nutrirsi dell’Eucaristia significa lasciarsi mutare in quanto riceviamo. Ci aiuta sant’Agostino a comprenderlo, quando racconta della luce ricevuta nel sentirsi dire da Cristo: «Io sono il cibo dei grandi. Cresci, e mi mangerai. E non sarai tu a trasformarmi in te, come il cibo della tua carne; ma tu verrai trasformato in me» (Confessioni VII, 10, 16: PL 32, 742). Ogni volta che noi facciamo la comunione, assomigliamo di più a Gesù, ci trasformiamo di più in Gesù. Come il pane e il vino sono convertiti nel Corpo e Sangue del Signore, così quanti li ricevono con fede sono trasformati in Eucaristia vivente. Al sacerdote che, distribuendo l’Eucaristia, ti dice: «Il Corpo di Cristo», tu rispondi: «Amen», ossia riconosci la grazia e l’impegno che comporta diventare Corpo di Cristo. Perché quando tu ricevi l’Eucaristia diventi corpo di Cristo. E’ bello, questo; è molto bello. Mentre ci unisce a Cristo, strappandoci dai nostri egoismi, la Comunione ci apre ed unisce a tutti coloro che sono una sola cosa in Lui. Ecco il prodigio della Comunione: diventiamo ciò che riceviamo!"
Quanto su scritto si commenta da solo.
"...La Chiesa desidera vivamente che anche i fedeli ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa; e il segno del banchetto eucaristico si esprime con maggior pienezza se la santa Comunione viene fatta sotto le due specie, pur sapendo che la dottrina cattolica insegna che sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero (cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 85; 281-282). Secondo la prassi ecclesiale, il fedele si accosta normalmente all’Eucaristia in forma processionale, come abbiamo detto, e si comunica in piedi con devozione, oppure in ginocchio, come stabilito dalla Conferenza Episcopale, ricevendo il sacramento in bocca o, dove è permesso, sulla mano, come preferisce (cfr OGMR, 160-161). Dopo la Comunione, a custodire in cuore il dono ricevuto ci aiuta il silenzio, la preghiera silenziosa. Allungare un po’ quel momento di silenzio, parlando con Gesù nel cuore ci aiuta tanto, come pure cantare un salmo o un inno di lode (cfr OGMR, 88) che ci aiuti a essere con il Signore..."
     Questa è una affermazione molto importante. Possiamo comunicarci così come il nostro cuore desidera senza cadere in errore quando leggiamo a destra e a manca che chi si comunica ricevendo Gesù sulle mani commette un abomio.
(Per qualche notizia in merito vi rimando ad un articolo de "Il Mattino" di ieri.)

Grazie Papa Francesco, grazie davvero.

Una verità per tutti ma non di tutti.

     Evitiamo di cadere nell'errore che il Cristianesimo possa mettere tutti d'accordo, credetemi, non è assolutamente così. Non lo è mai stato e mai lo sarà. Se così fosse non sarebbe più incarnato il messaggio del vangelo di Gesù. 
     Se leggiamo il vangelo della liturgia di oggi ci rendiamo conto che Gesù non propone una verità comprensibile o accettabile da tutti, Egli è la Verità! Una verità che sorpassa infinitamente quello che la "religione dei religiosi" da per assodata. Bisogna sempre mettersi in ascolto del maestro, tant'è vero che la Chiesa da sempre approfondisce i misteri della fede non dando mai nulla per scontato.
     Scrive Don Luigi M. Epicoco nel suo commento al Vangelo di oggi: "...Egli non è un teologo sopraffine, è molto di più: Egli è Dio stesso. "In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono". Come si può immaginare questa affermazione chiude il discorso e apre una reazione: "Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui". Eppure Gesù non può fare a meno di varcare quel confine. Ancora oggi attraverso questo vangelo tenta di dirci che il cristianesimo non è una teologia dove ci si ritrova tutti più o meno d'accordo. Il cristianesimo è Gesù stesso, perché Egli è Dio. Dire "Gesù è il Signore", significa racchiudere tutto ciò che è la fede cristiana. Finchè non accetteremo che Gesù è il Figlio di Dio, continueremo a trattarlo da filosofo, da maestro zen, da dispensatore di ricette morali, da profeta, da esempio, e da tante altre cose umanamente bellissime. Ma Lui è innanzitutto Dio. Dobbiamo però aspettarci che la reazione a un'affermazione simile riempia di pietre le mani di chi non riesce ad arrendersi a qualcosa di così grande. È insopportabile per i nostri ragionamenti poter accettare che c'è qualcosa di più grande di essi. Eppure aveva ragione il filosofo Pascal a dire: "L'ultimo passo della ragione è il riconoscere che vi sono un'infinità di cose che la sorpassano. Essa è proprio debole, se non giunge fino a conoscere questo". Tutte le eresie sono nate per questa difficoltà: non potendo comprendere tutto, ogni tanto qualcuno ha assolutizzato una parte della verità facendola entrare nell'ovvio della testa ma non della realtà."
     Dunque è necessario capire che essere credenti significa entrare, in punta di piedi e tenendoli ben piantati a terra, in un mondo dove non solo la logica ne fa da padrona. Anzi proprio questa deve lasciare il posto, inevitabilmente, alla non-logica, alla fiducia perché quella di Gesù è una parola che rompe i compromessi con i nostri schemi mentali e ci invita a fare un salto nel buio dove, Lui in persona, ci aspetta per rivelarci le verità della fede. 
     Fede come fiducia, fede come progresso, fede come superamento di noi stessi e delle nostre false sicurezze, per abbracciare le Sue e far sì che queste illuminino il cammino di ogni giorno.

mercoledì 21 marzo 2018

Radici cristiane verità o utopia?

Ecco un interessante articolo su un argomento che di tanto in tanto torna in voga tra i nostalgici del pan-cristianesimo, come soluzione ai disordini della società odierna.
Alberto Maggi, biblista dell'Ordine dei Servi di Maria da un ottimo spunto di riflessione .
"Il disegno del Signore non è quello di una società tutta cristiana, utopia irrealizzabile e neanche auspicabile (il disastro di ogni teocrazia è evidente), ma Gesù chiede ai suoi seguitori di influire positivamente nel mondo, e per questo usa immagini come il sale e il lievito (Mt 5,13; 13,33), elementi che anche in minima quantità possono influire nella massa liberando tutte le loro potenzialità. Gesù non invita i suoi a occupare o sostituirsi alle strutture sulle quali si regge la società, ma di infiltrarsi, come il sale e come il lievito, per dare sapore, per dilatarle, per renderle sempre più umane e attente ai bisogni e alle sofferenze degli uomini. Per questo la fedeltà al Cristo non può essere rivendicata a parole (“Non chiunque mi dice: “Signore, Signore…”, Mt 7,21), ma solo nei fatti (“Colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”, Mt 7,21)."
La verità, come chiave di lettura, è mettersi al servizio: Mc 10, 42- 45 «... Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

"Chi va con le prostitute è un criminale"

Dobbiamo creare una nuova mentalità a partire dai più giovani.
Ricordate: se non ci sarà più la domanda cesserà notevolmente anche l'offerta.
E' giunto il momento di dire "basta".
Ecco un notevole contributo del Papa.