«Ogni battezzato è un inviato». E ciascuno «deve rispondere alla sua chiamata concreta», perché «nessun fedele è così povero o privo di risorse da non poter dare qualcosa». Punta proprio alla riscoperta della responsabilità personale in ordine alla missione l’iniziativa del Mese straordinario che nel prossimo ottobre vedrà tutta la comunità cristiana mobilitata sul tema «Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo». Nel ricordarlo l’arcivescovo Giampietro Dal Toso — che ha aperto lunedì scorso, 1° luglio, alla facoltà di Teologia di Burgos, la settantaduesima Settimana spagnola di missionologia — ha ribadito che «la missione non è “delegabile”, nel senso di lasciarla agli altri», ma si fonda sulla «vocazione insita in ciascun battezzato».
Nella sua conferenza inaugurale il presule, che è segretario aggiunto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e presidente della Pontificie opere missionarie (Pom), ha richiamato il «messaggio profetico» e «universale» contenuto nella lettera apostolica Maximum illud, con la quale il 30 novembre di un secolo fa Benedetto XV volle imprimere un «nuovo impulso all’impegno missionario di annunciare il Vangelo». Proprio la celebrazione di questo anniversario caratterizza e orienta il Mese missionario straordinario, che ha come obiettivo aiutare ogni credente a inserirsi pienamente «nella chiamata del Signore della messe». In questo modo, ha rimarcato monsignor Dal Toso, «la missione dell’inviato non è diversa dalla missione di Gesù stesso: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”, in una continuità che trasformerà l’inviato in voce, annuncio, missione».
Scendendo nel dettaglio, il segretario di Propaganda Fide ha indicato i tre eventi principali che scandiranno le celebrazioni del Mese missionario a Roma — il 1 ° ottobre, la veglia a San Pietro con il Papa; il 7 ottobre, un Rosario missionario in diretta mondiale radiofonica dalla basilica di Santa Maria maggiore; il 20 ottobre, Giornata missionaria mondiale, la celebrazione eucaristica a San Pietro con il Pontefice — ai quali si affiancheranno le iniziative promosse a livello locale: tra queste, i pellegrinaggi diocesani o nazionali, le preghiere nelle parrocchie, le testimonianze dei missionari che lavorano in diverse parti del mondo. Ma già nei mesi scorsi, ha fatto notare il presule, la proposta ha suscitato «un’eco molto ampia» in tantissimi paesi, dando vita a una mobilitazione che suscita grande speranza: «È il segno — ha commentato — che il tema missionario è ancora molto sentito, e di questo dobbiamo essere contenti». Tra gli esempi più significativi, quello della Colombia, che per la circostanza ha indetto una missione in tutte le parrocchie; quelli di Venezuela, Malawi, Kenya, Portogallo, che hanno deciso di dedicare un intero anno alla missione «con un intenso programma di formazione e di studio»; e quelli di Polonia, Haiti, Filippine, Australia, Malawi, distintesi per la produzione di materiale didattico e formativo.
Nell’evidenziare l’importanza anche delle iniziative promosse in Spagna, l’arcivescovo ha voluto riaffermare che «l’approfondimento teologico della natura missionaria della Chiesa è una delle sfide più importanti della missione oggi». Occorre infatti «riscoprire il motivo della missione da un punto di vista teologico, di fronte alle grandi questioni che ci pone il nostro tempo, soprattutto in relazione all’incontro con le religioni». Da qui una serie di interrogativi fondamentali: «Cosa significa per noi oggi che la Chiesa è il sacramento universale della salvezza? Cosa significa oggi la redenzione salvifica di Cristo? Cosa significa che la Chiesa è missionaria per sua natura? Qual è la distinzione tra missione e proselitismo?». Domande, queste, che «manifestano la necessità di un fondamento logico per la nostra azione».
Non a caso, nell’intervento di monsignor Dal Toso è stato riservato ampio spazio ai presupposti dottrinali della missione della Chiesa. Che, ha spiegato il presule, nasce «dalla vita stessa di Dio», il quale chiama i credenti «a essere continuatori e suoi collaboratori» nell’opera salvifica. «La dinamica divina missionaria — ha affermato — fluisce incessantemente dalla fonte della carità inesauribile del cuore del Padre e si esprime nell’invio del Figlio e dello Spirito Santo, e ci raggiunge affinché possiamo porci al suo servizio».
La missione, ha ricordato ancora l’arcivescovo, «comincia dall’incontro personale» con Cristo «che a sua volta ci invia». È Lui, dunque, che «porta avanti l’opera salvifica e spinge la Chiesa al costante discernimento e alla risposta obbediente al Padre al servizio di questa opera». Questo significa che «prima di ogni cosa la missione non è umana ma divina, e dobbiamo confidare che lo Spirito Santo svolga la missione della Chiesa, nonostante i dubbi, le debolezze, le crisi che a volte constatiamo. Ci consola il fatto che lo Spirito Santo sia l’attore principale della nostra missione».
Se Cristo morto e risorto è «il soggetto» dell’opera missionaria, ne costituisce anche «l’oggetto» e «il cuore». Per questo, «oggi non possiamo parlare di missione senza fare riferimento a questo nucleo della nostra fede. È un annuncio che vuole far vibrare soprattutto i nostri cuori, perché possiamo essere capaci di far vibrare i cuori di quanti ci ascoltano, di quanti incontriamo». In tal senso «la missio ad gentes conserva tutta la sua rilevanza» anche in territori come l’Europa o l’America, dove «sono sempre più numerosi coloro che non sono battezzati o non credono o sono indifferenti, o sono totalmente ignoranti rispetto alla fede». Proprio in contesti simili appare evidente che «non ci sono più quelle condizioni che hanno contribuito a rendere il cristianesimo una fede condivisa dalla maggioranza». Ecco perché, ha esortato monsignor Dal Toso, «non dobbiamo sottovalutare la forza del secolarismo», che «è alimentato dal consumismo e si diffonde facilmente ovunque attraverso il web, che non è solo uno strumento, ma è diventato uno stile di vita, anche nelle zone tradizionalmente religiose».
In ogni caso, la missio ad gentes «tiene vivo il dinamismo della Chiesa locale», anche perché «rende concreta la missione in persone concrete». Ed è esattamente in questa prospettiva ecclesiale e pastorale che sono nate e operano ancora oggi le quattro Pontificie opere missionarie: quella della Propagazione della fede, nata nel 1822; quella della Santa infanzia o Infanzia missionaria (1843); quella di San Pietro apostolo (1889); e la Pontificia unione missionaria (1916). Quattro «realtà consolidate nella storia e nella missione evangelizzatrice della Chiesa», che costituiscono «una rete universale al servizio del Santo Padre per sostenere la missione e le giovani Chiese attraverso la preghiera e la carità».
Oggi, ha fatto presente il segretario di Propaganda Fide, «esistono 118 direzioni nazionali che assicurano la presenza delle opere in circa 140 paesi»: il che rende questa rete «veramente universale, sia in paesi molto grandi come il Canada o il Brasile, sia in paesi più piccoli situati ai margini geografici del mondo, come quelli dell’Oceano Pacifico o i paesi caraibici». Si tratta, ha precisato, di un vero e proprio «carisma, ossia un dono dello Spirito Santo, che dobbiamo mantenere e difendere» puntando su tre ambiti essenziali: la preghiera, la testimonianza e la carità. Senza dimenticare il carattere «pontificio» (è il Papa stesso che ne nomina il presidente) che distingue queste opere: esse, infatti, «sono uno strumento del Santo Padre per il bene della Chiesa universale». E questo, ha ribadito l’arcivescovo, «ci permette di comprendere che nessuno crede da solo, che nessuno può vivere la propria fede in modo individualistico, ma che siamo tutti collegati, anche con i nostri fratelli e sorelle nei paesi più lontani».