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martedì 11 giugno 2019

L'Osservatore Romano: La notte di Gesù «il veramente uomo»

 Una meditazione di Massimo Recalcati sul mistero della Passione di Cristo 

Ci sono momenti della vita di Gesù che rimangono avvolti da intere distese di silenzi. Credo che essi non nascano dalla mancanza di parole, ma solo dall’incapacità della parola stessa di poter “dire” qualcosa senza rovinare, dissacrare, o distrarre da ciò che quei fatti indicano nella loro essenzialità. È il caso della notte in cui Gesù venne al mondo: c’è stato bisogno di un intero immaginario cristiano di duemila anni per allargare e riempire di personaggi presepi nati per celebrare una gioia, ma forse anche per imbarazzo davanti al grande Mistero della Vita che viene al mondo senza troppi fronzoli ed effetti speciali. Anche della notte del Getsemani alla fine della vita di Gesù le indicazioni sono rade, le parole minime, e tutto viene affidato alla drammaticità dei gesti e delle scelte.

Sono momenti che i Vangeli narrano con poche pennellate di dettagli e descrizioni invitando non tanto a passare oltre, ma bensì a sostare, ad entrare, ad attraversare quel silenzio, ad abitare quelle notti. È il Mistero dell’inizio e della fine. In fondo la gioia come il dolore sono esperienze che si possono solo fare e quasi mai trasmettere con la sola narrazione. Massimo Recalcati, tra i più importanti psicoanalisti italiani, ormai ci ha abituato nei suoi scritti e nei suoi interventi a una frequenza con il “fatto” cristiano che travalica la semplice teologia o il mero tentativo di accordare la pratica psicoanalitica con l’esperienza di fede. I suoi lavori ci mostrano come proprio tra le pieghe più umane dell’animo di ognuno si nasconde tutta quella traccia del divino che Gesù mostra con la sua vita. C’è un’implicita affermazione: la fede non ci dice qualcosa di sovrumano o sovrapposto alla nostra esperienza, ma ci dice ciò che fa veramente uomo un uomo. La fede ci mostra ciò che di “veramente umano” si cela nell’esperienza di ognuno. Non è negare la divinità di Cristo ma è soprattutto non dimenticare mai che egli non solo è “veramente Dio”, ma anche “veramente uomo”.

Così dopo Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale (Raffaello Cortina 2017), Massimo Recalcati ha voluto raccogliere ne La notte del Getsemani (Torino, Einaudi 2019, pagine 104, euro 14) le sue riflessioni sulle ultime ore di vita di Gesù: «L’ora del Getsemani è l’ora della caduta di Dio, o, meglio, è l’ora dove il Dio cristiano si rivela essere “solo un uomo” intaccato radicalmente dal negativo (...) è l’ora in cui Dio appare spogliato; l’ora della caduta della sua gloria».

Infatti solo se Gesù ha fatto davvero la stessa esperienza di debolezza umana allora è credibile nella sua testimonianza. Nessun aiuto diverso se non il tentativo di assumere una posizione radicalmente nuova nella stessa esperienza drammatica che ogni uomo vive quando sperimenta l’angoscia, il tradimento, l’abbandono, il silenzio di Dio. Scrive Recalcati che «la predicazione (di Gesù), per essere credibile, deve trovare ora la sua verità nella testimonianza. Non c’è infatti, nella prospettiva di Gesù, alcuna verità possibile senza la sua testimonianza. Questo significa che la verità del Verbo consiste solo nella sua incarnazione. È l’ermeneutica etica radicale del cristianesimo: la lettera senza testimonianza è lettera morta; senza cuore — senza desiderio — non si dà alcuna possibilità di intendere il senso della Legge. (...) La parabola e la predicazione lasciano il posto alla preghiera».

Gesù, sembra suggerirci Recalcati, è diventato egli stesso ciò che ha sempre predicato. Solo a partire da questa credibilità di fondo possiamo inabissarci nelle tappe scandite dal testo di Recalcati. Innanzitutto “la caduta”: «La forza della lezione cristiana consiste nel pensare che solo chi conosce la caduta può conoscere la sua gloria». L’esperienza di Gesù indica che il fallimento non è uno scarto della vita, ma un momento importantissimo in cui la vita può trasformarsi e diventare davvero sé stessa. Solo quando non ci sottraiamo dalla possibilità della caduta allora possiamo anche imparare una lezione da essa, e divenire noi stessi una lezione, una testimonianza. Ecco perché la prima declinazione della caduta di Gesù avviene attraverso l’alfabeto del tradimento: «Il tradimento non viene mai dallo sconosciuto, ma da chi ci è prossimo — dal più prossimo — da colui nel quale riponevamo la nostra piena fiducia. Il tradimento dello sconosciuto può avere solamente la natura dell’inganno (...). Si può tradire solo chi ha veramente riposto in noi la sua fiducia, solo chi ci ha riconosciuto come essenziale per la sua vita: il proprio maestro, il proprio amico, la propria donna, il proprio uomo».

Ed è qui che si incontrano e si distinguono le figure di Giuda e di Pietro. Recalcati legge il tradimento di Giuda come la delusione del politico che non trova in Gesù il cambiamento sperato, la scelta deliberata, politica, schierata, ideologica. È la delusione dell’idealizzazione che egli ha fatto di Gesù. Non sopporta che quell’uomo sia diverso dalle sue aspettative. Lo tradisce deliberatamente con un gesto liberatorio che in realtà lo porterà invece a togliersi la vita. Pietro invece è colui che non è deluso nella sua idealizzazione, ma è colui che pur sentendo una profonda fedeltà nei confronti del Maestro non riesce a reggere la paura, la minaccia, il pericolo a causa di questo amore: «Il suo tradimento rivela una contraddizione che appartiene all’umano: non sempre siamo all’altezza del nostro amore, non sempre siamo coerenti con il nostro desiderio».

Ecco perché, sostiene Recalcati, Pietro piange: «Il pianto di Pietro non mostra la fine di un amore, ma la sua ripartenza dopo la caduta». L’amore per qualcuno deve contemplare anche la possibilità di non esserne sempre all’altezza, di poter sbagliare, cadere.

Ma è nell’esperienza dell’incontro con l’abbandono del Padre che Gesù deve confrontarsi con una caduta più profonda del tradimento degli amici. È soprattutto nel silenzio di Dio: «È dalla strettoia difficile del silenzio che la parola di Gesù deve passare; attraversare il silenzio inumano di Dio».

E che cosa accade quando la nostra preghiera, la nostra invocazione si scontra con il muro del silenzio? «Quando la preghiera non trova alcuna risposta assume la forma del grido». Forse è questo il motivo per cui Gesù muore gridando. Recalcati aggiunge che accanto a questa “prima preghiera” Gesù pone una “seconda preghiera”: «Il silenzio dell’Altro lo ha costretto a modificare la sua posizione, lo ha costretto a trovare la Legge nel proprio cuore, a non ricercare la Legge nel luogo dell’Altro. Nella sua “seconda preghiera” non chiede più di sospendere la Legge, ma esige la sua assunzione». È un po’ come voler dire che Gesù davanti all’impossibilità di vedere un destino diverso, fa un atto rivoluzionario: sceglie ciò che non ha scelto, e si pone così in una posizione non più di chi subisce, ma di chi torna protagonista. È il valore di prendersi la responsabilità del proprio destino invece di volergli costantemente sfuggire. Solo un atto estremo di fiducia può indurci a un gesto simile. Una preghiera così nasce solo da un atto di fede, e non da un mero calcolo.

Recalcati non svela il Mistero di quella notte, ma ci aiuta ad attraversarla senza sprecare quel passaggio. Non tutto capiamo della “notte”, ma qualcosa possiamo comunque imparare anche quando il cielo sembra non aiutarci. Sembra avventurarsi per strade nuove o comunque poco attraversate. È difficile trovare contraddizione con il Vangelo nel suo lavoro, pur essendo la sua una lettura laica, senza nessuna pretesa teologica e men che meno apologetica. Credo che Recalcati sia un’occasione da non sprecare perché può aiutare la narrazione cristiana a poter ridire ciò che ha sempre detto senza mai perdere la sua connaturale ed essenziale novità.

10 giugno 2019
di Luigi Maria Epicoco