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lunedì 7 gennaio 2019

NATALE: l'angelo del silenzio e dell'adorazione

Oggi tutti desideriamo meno rumore, ma abbiamo sostanzialmente paura del silenzio (Fausto Negri) Articolo tratto da IGS

Non appena siamo soli, infatti, ci prende un senso di timore, una vertigine quasi di paura. Sta forse qui il “successo” dei telefonini (gli italiani sono i primi acquirenti in Europa) e delle chats su Internet, per cui tante persone vivono sulla superficie della chiacchera. Fondamentalmente, un po’ di stordimento lo si cerca: esso consente di evitare l’incontro tanto fondamentale quanto critico: l’incontro con se stessi… l’incontro con Dio. Elie Wiesel ha sott’occhio questa doppia esperienza del silenzio quando scrive: «Il silenzio è pieno di pace e di armonia, pieno di promesse, di sogni e di verità. Ugualmente, però, può suscitare angoscia». Noi ebbri di parole, parole nostre, avremmo bisogno di una “moratoria” alle parole per scollare le mani dal timone della vita e poter ascoltare nel silenzio una voce dall’Alto che trovi in noi sobria e silente attuazione. Gli angeli del Natale vengono all’improvviso, con passo leggero; occorre molto silenzio per accorgersi di loro. L’angelo del silenzio può introdurci ad un tacere che fa bene e che diviene un bene anche per le persone attorno a noi.

Viviamo infatti in un mondo in cui il cyberspazio offre un universo di chiacchiere, relazioni virtuali che nascono in un attimo e che si concludono con un clic; l’esatto opposto del raccoglimento. È il raccoglimento che ci manca! Aveva ragione Kierkegaard quando affermava che, se fosse stato un medico, avrebbe dato agli uomini questo consiglio: «Tacete!». E R. Tagore rivolge questo invito: «Immergi la tua anima nel silenzio». Il silenzio è la medicina per le nostre anime, spesso frastornate dal chiasso del mondo.

La riscoperta del silenzio

Se nella nostra società «l’uomo è diventato un’appendice del rumore» (Max Picard), si fa sempre più urgente l’esigenza che ciascuno ritrovi la propria umanità attraverso la riscoperta del silenzio e l’apprendimento dell’antichissima arte di “ascoltare il silenzio”. La tradizione spirituale non solo cristiana ha sempre riconosciuto l’essenzialità del silenzio per una vita interiore autentica. «La preghiera – ha detto il Savonarola, che pur di discorsi appassionati ben si intendeva – ha per padre il silenzio e per madre la solitudine». Solo il silenzio, infatti, rende possibile l’ascolto, cioè l’accoglienza in sé non soltanto della parola pronunciata, ma anche della presenza di colui che parla. Il silenzio è linguaggio di amore, di profondità, di presenza all’altro. Ha scritto Romano Guardini: «Soltanto nel silenzio si realizza un’autentica conoscenza». Del resto, nell’esperienza amorosa il silenzio è spesso linguaggio molto più eloquente, intenso e comunicativo delle parole. 
Il Signore parla al cuore. Il comando del Dio di Israele è uno solo: Shemà Israel! Ascolta Israele, ascolta quella voce sottile di silenzio che parla al tuo cuore. Il silenzio di Dio non è per l’uomo un castigo, ma è richiamo profondo e sottile che sale dal di dentro del cuore. Prima di fare qualcosa per Dio, lui chiede di lasciarci amare.
L’adorazione è il “bocca a bocca” con Dio. È come l’esperienza dell’innamoramento, che indica qualcosa di coinvolgente, non puramente razionale, ma nemmeno irrazionale; il percepire che l’altro chiede una risposta totale e il disporsi a darla volentieri, con la testa e con il cuore.
Maria nel Vangelo di Luca proferisce pochissime parole, ma vive la sua vicenda come mistero. E’ colei che custodisce “nel suo cuore” tutte le cose che gli sono capitate.
Giuseppe nel Vangelo di Matteo è il silenzioso. Maria e Giuseppe sono due creature che lasciano spazio a Dio, tacendo. Il loro silenzio non è di chi non sa cosa dire, ma di chi desidera ascoltare; di chi, volendo capire il progetto di Dio, dilata l’occhio e l’orecchio. Il loro silenzio è prezioso; in esso respirano.

Il silenzio e l’ascolto di Maria e Giuseppe

Solitudine e ascolto diventano le categorie fondamentali entro le quali si può comprendere il silenzio. La Parola si comunica e si riceve nel silenzio. Essa penetra fin nelle giunture e nelle midolla, discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Dio entra attraverso il silenzio e pare buttare all’aria tutto. Al centro della persona umana infatti sta un luogo nel quale soltanto Dio è l’ospite, in cui solo Lui è il vero inquilino. Essere capaci di stare in silenzio e di mettersi in ascolto diventa una questione di vita o di morte, perché ogni volta che ci allontaniamo dal significato della vita, costruiamo un muro tra noi e la nostra felicità; e se andiamo verso il rumore e la distrazione che altri contribuiscono a creare, in realtà ci allontaniamo anche da loro e non poniamo basi solide per rapporti di amicizia e amore autentici. 
Il silenzio è fondamentale per l’ascolto. Ascoltare è molto di più che udire. Maria, la donna dell’ascolto e Giuseppe, il silenzioso, possono condividere domande e dubbi, percorrendo il cammino di un’intera esistenza fianco a fianco. Ambedue si aprono
 a delle possibilità imprevedibili. Nell’autentico silenzio c’è la Parola che chiama ed invita. Dio ha una parola che non è umana, ma è persuasiva. Essa non è mai umiliante, ma è apertura ad una realtà profonda; non si tratta di assumere un ruolo, ma di stare dentro ad una relazione. Ascoltare significa imparare ad amare, ad entrare in dialogo, a mettere in pratica la Parola. Infatti è impossibile amare Dio e il prossimo senza compiere un primo gesto: chiudere la bocca (silenzio) e aprire le orecchie (ascolto).

Il silenzio interiore

Un giorno il discepolo chiese al Maestro: "Io non sento Dio. Come posso sentirlo?". E il Maestro: «1. Metti a tacere le voci fuori (chiacchiericcio, continuo parlare). 2. Metti a tacere le voci dentro (pensieri). 3. Metti a tacere le voci del passato (rabbie, odio, rancori, paure che continuano a gridare). 4. Metti a tacere le voci che vuoi sentire (le nostre aspettative su ciò che Lui ci dovrebbe dire). 5. Fatto questo lo sentirai chiaro perché la sua voce è chiara e presente». 
A questo proposito è utile ricordare la mistica francese Madeleine Delbrêl, la quale ha sconvolto la nozione comune del termine “silenzio”, affermando che «il vero rumore è dentro di noi. Quando sappiamo fare silenzio in noi, possiamo ascoltare Dio. Il primo gradino della mistica scala del silenzio è di evitare di ascoltarsi parlare. Il silenzio non è un’evasione, ma il raccogliersi di noi stessi nel cavo di Dio. Il silenzio non è una serpe che il più piccolo rumore fa fuggire, ma “un’aquila dalle forti ali che vola alta sulla strepito della terra, degli uomini e del vento». 
Madeleine Delbrêl: «Fare silenzio è eliminare tutto ciò che ci impedisce di essere in contatto con Dio. È ascoltare Dio dovunque parli, da coloro tramite i quali parla nella Chiesa fino a coloro coi quali Cristo si è identificato in un altro modo e che ci chiedono luce, o il nostro cuore, o del pane». 
Solo chi è vuoto, è in grado di ricevere Dio. Madeleine compone, a questo proposito, una preghiera-lampo: «Mio Dio, se sei dovunque, come può succedere che io sia così spesso altrove?». Dichiara: «Pregare non significa essere intelligenti: significa esserci… Se raggiungi i confini del mondo, vi troverai le tracce di Dio; se vai nel profondo di te stesso, troverai Dio in persona». Ed infine propone un metodo: «Nella strada, stretti dalla folla, noi disponiamo le nostre anime come altrettante cavità di silenzio, dove la Parola di Dio può riposare e risuonare. In certi ammassi umani dove l’odio, l’avidità, l’alcool segnano il peccato conosciamo un silenzio di deserto e il nostro cuore si raccoglie con una facilità estrema perché Dio vi faccia squillare il suo nome».

Il cammino di fede dei Magi

L’avventura dei Magi inizia nel silenzio e nella contemplazione piena di stupore del cielo notturno. Mentre gli altri dormono essi si prendono uno spazio per cercare i segni del proprio tempo scrutando l’infinito. Come afferma il Concilio Vaticano II, “è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo” (Costituzione Gaudium et Spes 4).
La razionalità dei Magi si apre al Mistero: «Il Mistero non è un muro contro cui l’intelligenza si infrange, ma un oceano dove l’intelligenza si perde». Il credere dei Magi è questa intelligenza della verità che essi scoprono gradualmente. L’unione di una ragione fiduciosa con una fede ragionevole li porta ad incontrare quel Re capace di sconvolgere tutte le loro attese.
I Magi lontani, con altra cultura, con altra mentalità, sono chiamati e vanno, obbediscono a questa chiamata e trovano la promessa realizzata anche se in apparenza è piccola, è racchiusa in un bambino insignificante. 
La stella della fede è sincera, è leale. I Magi colgono il segno e si mettono in cammino. Essi si sono messi in cammino lasciando il loro mondo vitale, l’insieme delle loro sicurezze e delle loro abitudini radicate. Non si va alla ricerca di Dio senza prendere una decisione, senza fare un taglio, sradicandosi dal contesto rassicurante del piccolo universo che ci è proprio, per aprirsi al rischio della ricerca del Volto desiderato e nascosto. 
I Magi, guidati dalla ragione e dalla fiducia, si sono messi in cammino. Sono pellegrini, non nomadi. La fede è ricerca, avventura, fatica, lotta, rischio. È sempre collegata alla speranza. Infatti, possiamo avere fiducia solo se speriamo, e speranza solo se abbiamo fiducia. 
Bisogna ammettere che la ricerca dell’autentico volto di Dio non è sempre facile. La notte che copre la storia talvolta è veramente buia. Ecco, allora, che il Signore ci offre un aiuto decisivo per arrivare a credere in Lui: si tratta della sua Parola, della rivelazione storica del Suo Volto, che si è compiuta attraverso eventi e parole intimamente connessi. Anche i Magi ne hanno avuto bisogno, tant’è vero che seguono il suggerimento dei capi dei sacerdoti e degli scribi del popolo, consultati da Erode, circa il luogo in cui doveva nascere il Cristo: «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo Israele» (Michea 5,1-3). 
La storia dei Magi viene così a dirci che nella notte del tempo la Parola di Dio è veramente lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino. Chi vuole  incontrare il Dio vivente, si deve fidare della Sua Parola, mettersi in ascolto umile, perseverante e fiducioso di essa. La luce della Parola di Dio guida i passi di chi la ascolta e riconosce nelle parole dei testi sacri il messaggio di amore di Colui che vuole accendere in noi il desiderio del suo Volto e guidarci all’incontro con Lui nella sua casa. Una Parola che va ascoltata e messa in pratica. Gli scribi sanno, ma rimangono chiusi nel palazzo delle loro certezze. Erode sa, ma indaga con cura solo per salvaguardare il suo trono. In tutto il racconto di Matteo il personaggio più ciarliero è Erode: ma le sue sono parole piene di menzogna. E’ colui che parla di più, mentendo, perché è incapace di adorazione: anzi, pretende che tutti si prostrino davanti a lui. 
I Magi ripartono, e solo a questo punto rivedono la stella, mentre il loro cuore si riempie di gioia!

Videro il bambino e, prostratisi, lo adorarono

«Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (vv. 9-11). Si riconoscono qui, nella semplicità del racconto, le caratteristiche fondamentali dell’incontro con Dio, grazie al quale cambia tutto: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus caritas est, 1). 
Chi incontrano i Magi? Un’idea, l’Energia cosmica, un Superuomo, un generale, un gran Sacerdote, un filosofo acculturato?... No! Un bambino. Così essi sono messi davanti a due atteggiamenti fondamentali di fronte alla vita: la fragilità o la potenza, la dolcezza o la violenza, l’accoglienza del più debole o il rifiuto del diverso, l’amabilità o la crudeltà spietata… Gesù o Erode?
La logica di Dio spiazza ogni nostro ragionamento. Gesù sarà riconosciuto come “l’uomo che viene da Dio” e, nello stesso tempo, dalla nascita alla morte, non si comporta affatto “come un dio”. La sua onnipotenza sarà la bontà, la compassione, la “commozione fin nelle viscere”… Ha scritto Juan Arias: «L’amore ha reso fragile il mio Dio». La forza della debolezza e la logica del seme rappresentano un sovvertimento totale del modo comune di considerare il mondo, i rapporti, la vita.
I Magi si prostrano davanti all’infinitamente piccolo. Non adorano nemmeno un crocifisso o un risorto: semplicemente un bambino! San Pier Crisologo commenta così il brano evangelico di Matteo: «I Magi, che ricercavano Dio splendente fra le stelle, lo trovano che vagisce nella culla. I Magi considerano con grande stupore ciò che vedono nel presepio: il cielo calato sulla terra, la terra elevata fino al cielo, l’uomo in Dio, Dio nell’uomo, e colui che il mondo intero non può contenere  racchiuso in un corpo minuscolo» (Discorsi, 160).
«Ad Jesum per Mariam». Maria è grande non solo perché è madre, ma perché è modello di fede e di sequela. 
Tutta la grandezza dell’uomo sta nell’inginocchiarsi al vero Dio. Umiltà e stupore adorante sono i due atteggiamenti fondamentali della preghiera, espressione e nutrimento della fede: con l’umiltà confessiamo il nostro niente; con l’adorazione ci lasciamo colmare dal tutto di Dio. 
Se si mette Dio al primo posto, tutto va a posto. Il problema è semplice: o adorare Dio ed essere liberi dal mondo, o liberarsi di Dio e obbedire ad ogni proposta che viene dal mondo.
Con i Magi inizia poi quella meravigliosa arte del prosternarsi davanti a ciò che è apparentemente piccolo. Quando chiedevano a Madre Teresa quale fosse il suo segreto, lei rispondeva: «La preghiera e l’adorazione davanti al Santissimo… La pace si fa in ginocchio adorando quel Cristo che, cercato in chiesa, lo incontriamo poi nel più povero dei poveri». I Magi, adorando, entrano così nella logica del farsi prossimo”.
I tre doni possono essere anche simbolo del “tesoro” che i Magi hanno nel cuore. Così l’oro, ricchezza visibile, rappresenta ciò che uno ha; l’incenso, che sale in alto come profumo, raffigura ciò che uno desidera; la mirra, unguento che cura le ferite, simboleggia ciò che uno è. La regalità, la divinità, la mortalità dell’essere umano (le cose, le aspirazioni, le fragilità) vengono poste ai piedi del Dio-Bambino. Qui si compie il cammino!

Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese

Due aspetti vanno sottolineati: l’incontro con Dio non fa evadere dalla storia, dagli impegni della quotidianità e dalle responsabilità cui siamo stati chiamati. L’eternità, cui siamo chiamati, si esprime sempre in un giorno, l’oggi in cui vivere il sì a Dio nella fede e testimoniare agli altri la bellezza del Suo amore mediante la carità. Se l’Infinito si è fatto carne nella vita quotidiana, tutto ciò che è ordinario e abituale acquista una dignità infinita. Per incontrare Dio non è richiesta la fuga dal mondo o di fare esperienze straordinarie: basta cercarlo nelle relazioni, nello studio o nel lavoro, nell’impegno ”normale” di tutti i giorni. Si tratta semplicemente, diceva Madre Teresa, di “fare piccole cose con grande amore”.
L’altro elemento che il racconto ci fa capire è che il ritorno alla vita ordinaria, dopo l’incontro con il Signore, avviene “per un’altra strada”: significa cercare soluzioni nuove a problemi antichi, non conformarsi al “così fan tutti”, essere creativi e alternativi. La Pira affermava che “siamo sul crinale apocalittico della storia: o la distruzione, o la fioritura di un’altra civiltà. Altra scelta non c’è”. L’umanità è oggi ad un bivio: Erode o Gesù?
Ha scritto David Maria Turoldo: «Magi voi siete il segno che Dio mai abbandona chi segue la stella, che Dio è dentro e cammina con noi, e le sue vie non son queste vie!».

Fausto Negri