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venerdì 14 dicembre 2018

L'Osservatore Romano: Il dono dell’oscurità, Giovanni della Croce e la guarigione della memoria

In un mondo in cui per molte persone la confusione fa parte della realtà quotidiana e in cui a volte si producono ferite poi dimenticate per anni, fino a quando non tornano ad alzare la loro testa minacciosa, sapere come affrontare i ricordi dolorosi e come permettere loro di guarire ci aiuterà a vivere una vita più piena. Gesù ha detto: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Giovanni 10, 10). La vita spesso presenta delle sfide. Se c’è stato un avvenimento doloroso nel nostro passato, o se stiamo vivendo un’esperienza preoccupante nel presente, non riusciremo a vivere appieno la nostra esistenza a meno che non l’affrontiamo in profondità. Qualcosa ci trascinerà giù, come un peso straordinario che rende più difficile respirare, più difficile camminare, più difficile trovare pace e gioia, forse addirittura più difficile amare.


Sono nata nel giorno in cui si ricorda san Giovanni della Croce. Mi piace pensare che sia diventato la mia guida prima ancora che io sapessi qualcosa della vita. Anni fa qualcuno mi ha chiesto: «Quindi conosci san Giovanni della Croce?». E io ho risposto: «Penso che lui mi conosca meglio di quanto io potrò mai conoscere lui». In questo stesso spirito, qualsiasi cosa dirò qui sarà sempre poco, e sarà piuttosto un incoraggiamento e un invito a rivolgersi direttamente a lui per imparare di più da lui. Per una pura coincidenza, il mio nome deriva da “Giovanni”, il che mi lega ancor più al giorno in cui si celebra la sua memoria. Comunque, quando sono nata i miei genitori non erano a conoscenza di questo legame con san Giovanni della Croce. Ancor prima di iniziare a studiare formalmente la sua vita e la sua dottrina lo consideravo un amico, qualcuno vicino a Dio che si preoccupava di me, che mi guidava, spesso in silenzio e anche senza che io ne fossi consapevole.

Più tardi nella vita ha iniziato ad affascinarmi e ad attrarmi, ma solo negli ultimi anni questa amicizia ha cominciato a crescere a un livello più profondo e meno intuitivo. Poco più che trentenne ho completato un dottorato incentrato in modo particolare sulla guarigione dei ricordi dolorosi e san Giovanni della Croce è stato uno degli interlocutori nella mia ricerca. La mia tesi si fondava sull’esperienza di Restoration Ministries, un piccolo ma importante gruppo cristiano nordirlandese che negli ultimi trent’anni ha lavorato per la pace, la reintegrazione e la guarigione. La gente in Irlanda del Nord conosceva il buio e sapeva quanto a volte è difficile aggrapparsi alla speranza.

Thomas Merton ha detto che «non si può conoscere davvero la speranza a meno che non si scopre quanto la disperazione le assomigli» (Hidden Ground of Love). Ciò significa conoscere l’ombra e il dolore della nostra esistenza, e in essi trovare la luce. Giovanni ci mostra che anche nei momenti più bui della vita, la luce e l’amore di Dio sono vicini. Il reverendo Ruth Patterson, direttrice di Restoration Ministries, ripete spesso che siamo i prediletti di Dio, verità che coincide con la convinzione di san Giovanni della Croce che l’amore di Dio porta guarigione e trasformazione.

Nel corso della vita, alcune persone prenderanno coscienza delle cose accadute in passato che hanno influito negativamente su di loro. Tra queste ci sarà chi vorrà fare qualcosa a riguardo. Ma non tutte lo faranno. E anche quelle che hanno la volontà di farlo, non sempre sanno come. La guarigione richiede tempo. Non è insolito che ci siano uno, due o perfino diversi ricordi sepolti nel nostro subconscio. Personalmente ho maggiore familiarità con i ricordi nascosti che riemergono, sorprendendomi più con il loro bisogno di guarire, che con la consapevolezza costante che c’è qualcosa che devo affrontare. Fino a quando i ricordi sepolti non riaffiorano, spesso possiamo essere in qualche misura inconsapevoli che siano avvenuti. Dico “in qualche misura”, perché comunque essi influenzano il modo in cui agiamo nel mondo. Questi ricordi non sono riposti solo nella nostra mente, ma anche nel nostro corpo e nelle nostre emozioni. In altre parole, sono riposti nella nostra anima. Secondo la comprensione classica, l’anima incorpora le facoltà dell’intelletto, della memoria e della volontà, e tutte e tre attraversano una purificazione che Giovanni ha definito la notte buia dell’anima.

C’è un nucleo dentro di noi, la parte più profonda del nostro essere, che non viene toccato dalle nostre scelte di vita. Non viene scalfito dai torti che ci vengono fatti o da quelli che facciamo, né dalle ferite. È puro e brilla come un diamante nel nostro cuore. Afferma l’impronta di Dio nella nostra natura e proclama la verità del nostro essere creati a immagine di Dio. Sappiamo tutti fin troppo bene che l’immagine di Dio dentro di noi deve essere resa durante la vita presente, e in un certo senso ciò significa permettere a questo nucleo del nostro essere di crescere. Riportare il diamante interiore al suo pieno splendore può essere un processo molto doloroso, addirittura straziante.

Non iniziamo a guarire fino a quando non siamo pronti a farlo. La guarigione più profonda dei ricordi, la notte buia, non è una cosa che possiamo orchestrare. Giungerà, sempre che lo farà, solo quando Dio saprà che siamo pronti. Se fossimo noi a valutare la nostra prontezza, non riterremmo mai che è arrivato il momento giusto per affrontare il dolore nella misura profonda richiesta dalla notte oscura. Il cammino della guarigione esige coraggio.

Ogni esperienza di guarigione è diversa. Per undici anni mi sono confrontata con gli effetti di una cosa dolorosa accaduta tanti anni fa, ma non ero pronta a ricordare ciò che era davvero accaduto. Quando — avevo una ventina d’anni — è sorta in me la consapevolezza di un trauma, sapevo che si trattava del ricordo di un abuso che avevo il terrore di ricordare.

Il ricordo è riaffiorato a ondate nel corso degli anni; come se togliessi uno strato dopo l’altro, scoprendo mano a mano il suo nocciolo. Poi, una sera d’inverno, nel mio nuovo appartamento, mi sono molto allarmata a causa dei rumori che sentivo sia fuori sia dentro casa. Una parte di me sapeva che ciò stava innescando un ricordo traumatico della mia prima infanzia. Ma non riuscivo a distinguere la realtà dal ricordo. Quella notte non dormii.

Il giorno dopo il padrone di casa mi assicurò che la zona era sicura. E rammentai che i ricordi sepolti riaffiorano solo quando l’ambiente è sicuro. Ebbi paura. Di notte affrontavo l’intensità di emozioni legate al ricordo, terrori e flashback, ma il ricordo stesso si presentava durante il giorno, nel tempo di preghiera, mentre parlavo a Gesù. Temevo che, semmai avessi ricordato ciò che era accaduto, l’intensità del dolore mi avrebbe uccisa. Attraverso gli abusi qualcosa dentro di noi muore, una parte di noi viene portata via. Da bambina penso di aver percepito questa violazione come una “morte”. Mentre il ricordo riaffiorava in quell’inverno, la sensazione che emergeva da dentro di me era di terrore che qualcuno venisse a uccidermi. Poiché ero stata rassicurata sul fatto che il luogo in cui vivevo era sicuro, decisi di convivere con quel sentimento, per quanto terrificante fosse. Rimasi seduta in sua compagnia per molte notti, incapace di dormire. Raccontavo a Gesù ogni pensiero che mi veniva in mente. Quando ero sopraffatta, ricorrevo al respiro profondo per calmarmi.

Decisi di permettere al ricordo di riaffiorare. Anche se non ho mai partorito, mi ha fatto pensare al travaglio; è stato doloroso ma buono, perché in esso c’era Dio. Quando la paura mi sfiniva, sapendo di non riuscire a rilassarmi abbastanza per dormire in camera qualche notte sono andata in bagno, l’unica stanza che potevo chiudere a chiave. L’ho fatto sei o sette volte nel corso delle settimane. Mettevo dei cuscini per terra, prendevo una candela, una coperta e un guanciale e dormivo sul pavimento. O così, o non dormire affatto.

So che qualcuno magari pensa che avrei potuto scegliere di fuggire da quel processo e non affrontare il ricordo. Ma mentre ciò avveniva, sapevo, nel mio intimo, di doverlo affrontare se volevo che mollasse la sua presa su di me. Avevo la profonda consapevolezza che il processo era stato iniziato da Dio per il mio bene, e volevo rispondere meglio che potevo. Inoltre, non ero del tutto sola. Alcune sedute di terapia mi diedero sostegno e mi aiutarono ad avere fiducia nel processo. Chiesi che si pregasse per me e alcune persone mi offrirono il loro appoggio. Sono state la mia ancora di salvezza, specialmente di notte.

Domandai a Gesù di starmi accanto mentre ricordavo, e non avrei mai potuto immaginare quanto sarebbe stato colmo di grazia quel momento, e quanto dolce; perché lui era con me. Nei mesi successivi mi dovetti confrontare con il dolore non elaborato e l’integrazione di ciò che ricordavo. Per la prima volta, dopo molti anni, riuscii a incominciare a lasciare quel ricordo al passato.

Più o meno quando il mio ricordo stava riemergendo, assistetti a un dibattito sulla notte oscura dalla prospettiva junghiana. L’oratore, Jasbinder Garnermann, disse che nella notte oscura ci troviamo «faccia a faccia con noi stessi». Lo scopo di questo cammino profondo di guarigione è di integrare quelle parti di noi che prima non conoscevamo. A un certo momento della vita finiamo con l’affrontare ricordi, ricordi che «abbiamo completamente dimenticato». Tuttavia, il «sentimento originale è lì, la carica originale è lì», nascosti in tali ricordi. Da bambini siamo privi di risorse per affrontare il rifiuto o traumi di qualsiasi genere, «quindi, l’unico modo in cui li abbiamo potuti affrontare per sopravvivere rimanendo psicologicamente integri è stato seppellendoli» (Jasbinder Garnermann). Ma diventando adulti sviluppiamo le risorse.

Gli esseri umani hanno una capacità immensa di sopportare il dolore. La guarigione giunge quando si permette ai ricordi di affiorare, sopportando il dolore mentre emerge nella sua carica originale. Sopportarlo serve a liberarlo. È un processo molto doloroso, ma è un processo che porta anche alla libertà interiore.

San Giovanni della Croce si preoccupa di purificare l’affettività dei ricordi. Evidenzia che «la confusione non nasce mai nell’anima se non attraverso le apprensioni della memoria. Quando tutto è dimenticato, nulla disturba la pace o muove gli appetiti». Miroslav Volf scrive in The End of Memory che «togliendo loro il cibo affettivo, i ricordi vengono indeboliti e giacciono dormienti». Affinché ciò accada, dobbiamo a poco a poco abbandonare il nostro bisogno di aggrapparci alle emozioni dei ricordi. Lo facciamo affrontando questi sentimenti profondi in tutta la loro intensità. Pian piano le emozioni si attenueranno.

La guarigione interiore, che include la guarigione dei nostri ricordi, è un cammino verso “casa”, verso il nostro vero essere. «Quando abbiamo abbastanza fiducia da entrare nel buio, nei luoghi reconditi del nostro essere e portarli fuori, alla luce, scopriamo di più su noi stessi e, poiché non vi siamo andati soli, anche se così potrebbe sembrare, scopriamo anche di più su Dio. È come se venissimo accolti nella nostra identità» (Ruth Patterson).

C’è un’intera gamma di tappe in questo cammino di guarigione, quando si passa dall’essere vittima all’essere una sopravvissuta. Ma c’è un’altra tappa, che viene ben descritta da una signora che ha perso il marito in modo tragico nel conflitto nordirlandese, la quale ha detto: «Sono stata vittima; sono stata sopravvissuta; adesso voglio vivere!» (Ruth Patterson, Journeying Towards Reconciliation). È il cammino di tutta una vita.

A volte le persone hanno bisogno di molto tempo per riuscire ad abbandonare lo stato di vittima, sempre che ci riescano. Oppure s’identificano talmente tanto con il loro stato di vittima da acquisire l’“identità di vittima”. Perfino i paesi possono seguire la dinamica generale di percepirsi sempre come vittime in rapporto al loro vissuto e alla loro storia. Essere vittima è una tappa, una realtà per quanti sono stati trattati male o feriti. Ma quando intraprendiamo il cammino della guarigione, passiamo a una fase diversa, quella di essere sopravvissuti. «Se non hanno potuto disporre del giusto tipo di aiuto o se il dolore è stato tanto intenso, hanno paura di abbandonarlo; senza di esso non saprebbero chi sono» (Ruth Patterson). Le persone hanno bisogno di essere ascoltate, perché l’ascolto compassionevole della storia di una persona è importante per la sua guarigione.

Patterson ci invita a consentire a Dio di diventare amico «dello sconosciuto che è in noi, dei pezzetti che non abbiamo ancora scoperto o amato a causa delle nostre paure, dei nostri dubbi o delle nostre inadeguatezze, o delle nostre ferite; riscoprendo Gesù, riscopriamo il nostro vero essere». In altre parole, «conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Giovanni 8, 32).

Nel 2017, durante un viaggio a Malta, mi ha colpito quella che mi è sembrata una parabola moderna sulla guarigione dei ricordi. A Mosta c’è una chiesa sulla quale sono cadute tre bombe durante la seconda guerra mondiale, due delle quali sono rimbalzate sulla cupola senza esplodere. Una bomba altamente esplosiva di cinquecento chili, invece, l’ha perforata ed è penetrata nella chiesa, anch’essa però senza esplodere. L’ordigno è stato fatto detonare in mare quel giorno stesso. Oggi è possibile visitare Mosta e vedere un modello della bomba nella sagrestia della chiesa. La cupola è stata completamente ricostruita e la bomba non è più pericolosa. Per me è un immagine di ricordi guariti: rimane il bossolo, ma il materiale altamente esplosivo non c’è più, a ricordare che ciò che un tempo era una forza letale e pericolosa alla fine è stata messa a tacere.

di Iva Beranek