"È difficile perdonare, portiamo sempre dentro un po’ di rammarico, di astio, e quando siamo provocati da chi abbiamo già perdonato, il rancore ritorna con gli interessi". Lo ha ammesso il Papa, che nell'omelia della Messa al Palaexpo di Ginevra spiegando che "il Signore pretende come dono il nostro perdono", "la clausola vincolante del Padre Nostro".
"Dio ci libera il cuore da ogni peccato, perdona tutto, tutto, ma una cosa chiede: che non ci stanchiamo di perdonare a nostra volta", ha ribadito Francesco: "Vuole da ciascuno un'amnistia generale delle colpe altrui. Bisognerebbe fare una bella radiografia del cuore, per vedere se dentro di noi ci sono blocchi, ostacoli al perdono, pietre da rimuovere. E allora dire al Padre: ‘Vedi questo macigno, lo affido a te e ti prego per questa persona, per questa situazione; anche se fatico a perdonare, ti chiedo la forza per farlo’".
"Ciascuno di noi rinasce creatura nuova quando, perdonato dal Padre, ama i fratelli", ha garantito il Papa citando il caso di Pietro, perdonato da Gesù, e di Saulo, che "diventò Paolo dopo il perdono ricevuto da Stefano". "Solo allora immettiamo nel mondo novità vere, perché non c’è novità più grande del perdono, che cambia il male in bene", ha proseguito Francesco citando la storia cristiana: "Perdonarci tra noi, riscoprirci fratelli dopo secoli di controversie e lacerazioni, quanto bene ci ha fatto e continua a farci!". "Non arroccarci con animo indurito, pretendendo sempre dagli altri, ma fare il primo passo, nella preghiera, nell’incontro fraterno, nella carità concreta", l’invito finale: "Così saremo più simili al Padre, che ama senza tornaconto. Ed egli riverserà su di noi lo Spirito di unità".
Nella Messa al Palaexpo, «Guai a chi specula sul pane»
"Guai a chi specula sul pane! Il cibo di base per la vita quotidiana dei popoli dev'essere accessibile a tutti". A levare il grido è stato il Papa, durante l’omelia della Messa al Palaexpo di Ginevra, dove ha spiegato che "chiedere il pane quotidiano è dire anche: ‘Padre, aiutami a fare una vita più semplice’". "La vita è diventata tanto complicata, per molti è come drogata", l’allarme di Francesco: "Si corre dal mattino alla sera, tra mille chiamate e messaggi, incapaci di fermarsi davanti ai volti, immersi in una complessità che rende fragili e in una velocità che fomenta l’ansia". In questo contesto, per il Papa, "s’impone una scelta di vita sobria, libera dalle zavorre superflue. Una scelta controcorrente, come fece a suo tempo san Luigi Gonzaga, che oggi ricordiamo. La scelta di rinunciare a tante cose che riempiono la vita ma svuotano il cuore".
"Scegliamo la semplicità del pane per ritrovare il coraggio del silenzio e della preghiera, lievito di una vita veramente umana", la ricetta di Francesco: "Scegliamo le persone rispetto alle cose, perché fermentino relazioni personali, non virtuali. Torniamo ad amare la fragranza genuina di quel che ci circonda. Quando ero piccolo, a casa, se il pane cadeva dalla tavola, ci insegnavano a raccoglierlo subito e a baciarlo. Apprezzare ciò che di semplice abbiamo ogni giorno, custodirlo: non usare e gettare, ma apprezzare e custodire". Il "Pane quotidiano" è Gesù, ha ricordato infine il Papa: "Senza di lui non possiamo fare nulla. È lui l’alimento base per vivere bene". "A volte, però, Gesù lo riduciamo a un contorno", il monito: "Ma se non è il nostro cibo di vita, il centro delle giornate, il respiro della quotidianità, tutto è vano. Domandando il pane chiediamo al Padre e diciamo a noi stessi ogni giorno: semplicità di vita, cura di quel che ci circonda, Gesù in tutto e prima di tutto".
«Lasciamoci provocare dalle sfide del mondo»
«Chiediamoci allora: che cosa possiamo fare insieme? Se un servizio è possibile, perché non progettarlo e compierlo insieme, cominciando a sperimentare una fraternità più intensa nell’esercizio della carità concreta?». Dopo la visita e il pranzo all’Istituto Ecumenico Bossey, centro internazionale di dialogo e formazione del Consiglio mondiale delle Chiese immerso nel verde della campagna tra Versoix e Nyon a venticinque chilometri da Ginevra, papa Francesco ha partecipato nel pomeriggio all'incontro ecumenico nella Visser’t Hooft del Centro ecumenico ginevrino. Alle parole del segretario generale del Consiglio, Olav Fykse Tveit e a quelle della teologa anglicana Agnes Aubom, la riflessione del Papa si è soffermata sul motto scelto per questa giornata: «Camminare-Pregare-Lavorare insieme», che, come ha affermato Tveit nel corso della conferenza stampa tenuta a Bossey, riportando la conversazione privata avuta con il Papa a pranzo, è da considerarsi «la trinità ecumenica che porta all’unità».
IL TESTO INTEGRALE
Camminare per papa Francesco ha «un duplice movimento: in entrata e in uscita»: in entrata verso Cristo e in uscita verso i fratelli «per portare insieme la grazia risanante del Vangelo all’umanità sofferente».
Pregare vuol dire anche che quando «diciamo “Padre nostro” risuona dentro di noi la nostra figliolanza, ma anche il nostro essere fratelli. La preghiera – ha poi ribadito – è l’ossigeno dell’ecumenismo. Senza preghiera la comunione diventa asfittica e non avanza».
Lavorare insieme è ciò che rende «la credibilità del Vangelo» perché la credibilità è messa alla prova dal modo in cui i cristiani rispondono al grido di quanti, in ogni angolo della terra, sono ingiustamente vittime del tragico aumento di un’esclusione che, generando povertà, fomenta i conflitti ed ha elencato la fattiva collaborazione instaurata in cinque decenni con la Chiesa cattolica in una società in cui «i deboli sono sempre più emarginati, senza pane, lavoro e futuro, mentre i ricchi sono sempre di meno e sempre più ricchi» .
«Sentiamoci interpellati – ha detto il Papa – dal pianto di coloro che soffrono, e proviamo compassione». Soprattutto «incoraggiamoci a superare la tentazione di assolutizzare determinati paradigmi culturali e di farci assorbire da interessi di parte. Non possiamo disinteressarci, «e c’è da inquietarsi – ha sottolineato il Papa – quando alcuni cristiani si mostrano indifferenti nei confronti di chi è disagiato». «Ancora più triste» poi «è la convinzione di quanti ritengono i propri benefici puri segni di predilezione divina, anziché chiamata a servire responsabilmente la famiglia umana e a custodire il creato». Perché è sull’amore per il prossimo, «per ogni prossimo, il Signore, Buon Samaritano dell’umanità (cfr Lc 10,29-37) che ci interpellerà».
«Riscoprire la missione è la nuova indispensabile frontiera dell’ecumenismo»
Nel suo secondo discorso a Ginevra, davanti ai membri del Consiglio ecumenico delle Chiese, papa Francesco ha così insistito sulla missione e sulla testimonianza comune al Vangelo che i cristiani possono e debbono dare nel nostro tempo. Venuto qui a celebrare il 70° anniversario dell’istituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese, ha ringraziato i primi ecumenisti che, «spinti dall'accorato desiderio di Gesù, non si sono lasciati imbrigliare dagli intricati nodi delle controversie, ma hanno trovato l’audacia di guardare oltre e di credere nell'unità, superando gli steccati dei sospetti e della paura». Persone – ha detto – che «con l’inerme forza del Vangelo, hanno avuto il coraggio di invertire la direzione della storia, quella storia che ci aveva portato a diffidare gli uni degli altri e ad estraniarci reciprocamente, assecondando la diabolica spirale di continue frammentazioni». E se il Consiglio delle Chiese «è nato come strumento di quel movimento ecumenico suscitato da un forte appello alla missione» papa Francesco ha posto l’attenzione proprio su questo punto: «Come possono i cristiani evangelizzare se sono divisi tra loro? Questo urgente interrogativo indirizza ancora il nostro cammino e traduce la preghiera del Signore ad essere uniti “perché il mondo creda”». Il Papa ha espresso a questo proposito una preoccupazione, derivante «dall'impressione che ecumenismo e missione non siano più così strettamente legati come in origine».
«Eppure – sottolinea Bergoglio - il mandato missionario, che è più della diakonia e della promozione dello sviluppo umano, non può essere dimenticato né svuotato. Ne va della nostra identità. L’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini è connaturato al nostro essere cristiani. Certamente, il modo in cui esercitare la missione varia a seconda dei tempi e dei luoghi e, di fronte alla tentazione, purtroppo ricorrente, di imporsi seguendo logiche mondane, occorre ricordare che la Chiesa di Cristo cresce per attrazione» ha ripetuto mutuando quanto già espresso da Benedetto XVI.
«Ma in che cosa consiste questa forza di attrazione? – si è chiesto il Papa – Non certo nelle nostre idee, strategie o programmi: a Gesù Cristo non si crede mediante una raccolta di consensi e il popolo di Dio non è riducibile al rango di una organizzazione non governativa. No, la forza di attrazione sta tutta in quel sublime dono che conquistò l’apostolo Paolo: “Conoscere [Cristo], la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze”».
Francesco ha invitato dunque a non ridurre «questo tesoro al valore di un umanesimo puramente immanente, adattabile alle mode del momento. E saremmo cattivi custodi se volessimo solo preservarlo, sotterrandolo per paura di essere provocati dalle sfide del mondo». Due atteggiamenti diversi ma ugualmente deleteri per Francesco che fotografano altrettanti approcci oggi riscontrabili nel mondo cristiano: l’adattamento al mondo, o la paura del mondo che fa rinchiudere in un fortino sentendosi assediati.
«Ciò di cui abbiamo veramente bisogno – ha sottolineato il Papa - è un nuovo slancio evangelizzatore. Siamo chiamati a essere un popolo che vive e condivide la gioia del Vangelo, che loda il Signore e serve i fratelli, con l’animo che arde dal desiderio di dischiudere orizzonti di bontà e di bellezza inauditi a chi non ha ancora avuto la grazia di conoscere veramente Gesù. Sono convinto che, se aumenterà la spinta missionaria, aumenterà anche l’unità fra noi». Riscoprire la missione è dunque la nuova indispensabile frontiera dell’ecumenismo: «L’evangelizzazione segnerà la fioritura di una nuova primavera ecumenica».
«Le distanze non siano scuse, serviamo insieme il mondo»
«Camminare insieme per noi cristiani non è una strategia per far maggiormente valere il nostro peso, ma un atto di obbedienza nei riguardi del Signore e di amore nei confronti del mondo». Nella sede del Consiglio ecumenico delle Chiese (World Council of Churches, WCC) di Ginevra papa Francesco approfondisce ciò che è essenziale nel cammino ecumenico, in un luogo che è il segno di un impegno ormai storico della comunione delle oltre trecento denominazioni cristiane che insieme collaborano sulle grandi sfide che attraversano l’umanità, dalle situazioni di conflitto alle emergenze umanitarie e lavorano per il Vangelo nel mondo, la giustizia e la pace e con cui la Chiesa cattolica opera da cinquant’anni.
«Camminare, pregare e lavorare insieme» è il motto comune scelto per questo breve ma intenso ventitreesimo viaggio papale all’estero nel segno dell’ecumenismo e che intende dare un nuovo impulso all’azione comune dei credenti in Cristo. Nel quartiere immerso nel verde a due passi dall’aeroporto e dal Palexpo, nella cappella del Consiglio ecumenico delle Chiese, Francesco ha recitato la «preghiera di pentimento» ed ha ascoltato la lettura di un brano della Lettera ai Galati di san Paolo. Ed è proprio dalla lettera dell’Apostolo Paolo ai Galati, che «sperimentavano travagli e lotte interne e si affrontavano accusandosi vicenda», che Francesco prende la parola per una puntuale meditazione indicando cosa volesse dire per l’Apostolo delle genti «camminare insieme secondo lo Spirito». «Camminare secondo lo Spirito è rigettare la mondanità – afferma Francesco –. È scegliere la logica del servizio e progredire nel perdono. È calarsi nella storia col passo di Dio: non col passo rimbombante della prevaricazione, ma con quello cadenzato da «un solo precetto: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”».
«Siamo chiamati, insieme, a camminare così – ribadisce il Papa – la strada perciò passa per una continua conversione, per il «rinnovamento della nostra mentalità perché si adegui a quella dello Spirito Santo». È questa – per papa Francesco – la via da seguire anche per il cammino ecumenico, passando attraverso una «continua conversione». L’ecumenismo potrà progredire solo se, camminando sotto la guida dello Spirito, rifiuterà ogni ripiegamento autoreferenziale.
Francesco ha fatto osservare che nel corso della storia, «le divisioni tra cristiani sono spesso avvenute perché alla radice, nella vita delle comunità, si è infiltrata una mentalità mondana», perché prima sono venuti i proprio i propri interessi: «Prima si alimentavano gli interessi propri, poi quelli di Gesù Cristo»: «Stare insieme agli altri, camminare insieme, ma con l’intento di soddisfare qualche interesse di parte. Questa non è la logica dell’Apostolo, è quella di Giuda, che camminava insieme a Gesù ma per i suoi affari».
In queste situazioni «il nemico di Dio e dell’uomo – ha aggiunto il Papa riferendosi al demonio – ha avuto gioco facile nel separarci, perché la direzione che inseguivamo era quella della carne, non quella dello Spirito. Persino alcuni tentativi del passato di porre fine a tali divisioni sono miseramente falliti, perché ispirati principalmente a logiche mondane». Camminare secondo lo Spirito, significa perciò scegliere «con santa ostinazione la via del Vangelo» e «rifiutare le scorciatoie del mondo».
Per progredire nel cammino ecumenico bisogna quindi per papa Francesco «lavorare in perdita», non pensando a tutelare soltanto «gli interessi delle proprie comunità, spesso saldamente legati ad appartenenze etniche o a orientamenti consolidati, siano essi maggiormente “conservatori” o “progressisti”». Bisogna «scegliere di essere del Signore prima che di destra o di sinistra, scegliere in nome del Vangelo il fratello anziché sé stessi significa spesso, agli occhi del mondo, lavorare in perdita. L’ecumenismo è “una grande impresa in perdita”. Ma si tratta di perdita evangelica».
«Il Signore ci chiede unità; il mondo, dilaniato da troppe divisioni che colpiscono soprattutto i più deboli, invoca unità». La meta è l’unità, «la strada contraria, quella della divisione, porta a guerre e distruzioni», oltre che danneggiare «la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura» ha detto con chiarezza il Papa. Ma ha pure voluto sottolineare che «camminare insieme per noi cristiani non è una strategia per far maggiormente valere il nostro peso, ma un atto di obbedienza nei riguardi del Signore e di amore nei confronti del mondo». E «le distanze che esistono non siano scuse - ha ribadito - perché «è possibile già ora camminare secondo lo Spirito: pregare, evangelizzare, servire insieme, questo è possibile e gradito a Dio!».